Sergio e Marco frequentano con risultati eccellenti il Politecnico di Montreal in Canada, Umberto è un avvocato di successo e lavora in mezza Europa, Rita è un brillante neurochirurgo animata da grande abnegazione, Gaetano ha lasciato il suo buon lavoro per diventare francescano e da 3 mesi è postulante cappuccino. Cosa lega questi giovani con cui, in queste vacanze natalizie, ho a lungo parlato? Nelle loro storie c’era stato almeno un docente che aveva avuto un grosso ascendente verso di loro. Certo, dietro c’erano anche buone famiglie, talenti personali indiscussi e buona volontà ma era evidente nelle loro storie, che poi è la storia di tantissime altre persone, l’amore con cui alcuni dei loro professori o maestri avevano riversato in termini di professionalità, esempio, preparazione, disponibilità e coinvolgimento. Che questa non sia solo una osservazione del reale lo ha confermato anche un recente studio realizzato dalle Università di Harvard (gli economisti Ray Chetty e John Friedman) e della Columbia University (Prof. Jonah Rockoff) che, sulla base di un campione di 2,5 milioni di studenti in 20 anni (davvero un campione niente male!), comparato con la griglia dei professori giudicati bravi, ha dimostrato che a parità di condizioni, chi ha avuto anche un solo insegnante bravo (cioè che ha influenzato positivamente la vita scolastica dell’allievo), poi nella vita lavorativa ha mediamente avuto più successo, più guadagni e più soddisfazioni morali rispetto agli altri coetanei. Gli americani, che da questo punto di vista monetizzano tutto, hanno dimostrato che avere un educatore scarso produrrà non solo studenti svogliati ma successivamente anche lavoratori poco motivati che guadagneranno addirittura centinaia di migliaia di dollari in meno rispetto agli altri. A parte lo studio intrigante di queste Università americane che indirettamente conferma perché il nostro Paese continua ad arretrare economicamente, per noi italiani sorge ovvia un’altra considerazione e cioè che la pedagogia italiana è ancora bloccata agli schemi ideologici degli anni ’60, quando psicoanalisi e marxismo partorirono delle autentiche follie collettive. Le stesse, in nome di una pseudo libertà dell’adolescente, indussero il sistema scolastico italiano ad abrogare di fatto regole e nozioni. La grammatica, l’analisi logica, le poesie, le tabelline, in generale l’uso della memoria furono tutte bollate come vecchiume. All’inizio ciò avvenne in maniera strisciante, poi dopo il ’68 in maniera eclatante e il risultato fu un abbassamento del livello di apprendimento. L’esperienza, oltre che il buon senso invece, ci conferma che l’adolescente non potendo imparare nulla da solo, dipende solo da chi gli passa il "testimone" e da come gli viene passato. Se il suo docente non gli passa nulla perchè è impreparato, o peggio perchè non riesce ad amare quell’Uomo piccolo (attenzione! "Uomo piccolo", non piccolo uomo) che gli sta di fronte e che è un essere unico e irripetibile e che potenzialmente è capace di realizzare cose straordinarie (fosse anche quello di essere un buon padre di famiglia), quel docente ha fallito e la società ci ha rimesso! Per apprendere, l’Uomo piccolo ha bisogno che qualcuno gli insegni le cose con amore e passione (anche in maniera rigorosa se serve), perchè se egli non imprime le buone cose nella sua mente e nel suo cuore, resterà svogliato per sempre e da grande si sentirà inadeguato, insoddisfatto. Per fortuna in Italia molti docenti non hanno mollato, però in generale è andata così! Gli americani hanno dimostrato con un approccio costo-beneficio (che forse sarà discutibile ma che di certo rende l’idea) che avere buoni "maestri" arricchisce in ogni senso la società in cui si vive. In questo noi italiani siamo indietro e urge un risveglio delle coscienze. Mai come in questo momento la società pretende docenti bravi che sappiano amare i loro ragazzi.
Alessandro Pagano