La tragedia della "Costa Concordia" ha aperto e aprirà una miriade di commenti, discussioni, elucubrazioni, giudizi, condanne. In Italia siamo famosi per essere esperti in tutto e su tutto. Se un allenatore di calcio fa una formazione è sicuramente quella sbagliata, se il governo prende una decisione, avrebbe potuto prenderla in modo diverso e così via. Qui si parla di una tragedia in mare. E allora via, la nave era fuori rotta, l’ufficiale di rotta dormiva, il comandante se la spassava nel salone passeggeri. L’equipaggio non è stato all’altezza della situazione. Tutti i talk-show faranno a gara a contendersi questo e quell’opinionista che dirà la sua. Sarebbe interessante invece che i responsabili delle varie reti invitassero persone veramente esperte che, con serenità, cognizione di causa e competenza potessero esprimere un parere tecnico tale da avvicinarsi alla verità.
Verità che è difficile stabilire anche per i sopracitati esperti. E’ facile dare la croce addosso al Comandante, all’impreparazione dell’equipaggio. Non si tiene conto che tutte le procedure dettate dall’IMO e dalla SOLAS, due enti internazionali che regolano tutto ciò che è inerente alla vita in mare, sono oggetto di costanti esercitazioni per rendere l’equipaggio più efficiente nelle varie possibili emergenze che si possono verificare a bordo Ma è il caso di dire che "fra il dire ed il fare c’è di mezzo il mare" E che mare…. Chi ha fatto una crociera sa benissimo che si fanno le esercitazioni di "abbandono nave". Queste si rivelano sempre delle "piacevoli" varianti che intervallano una colazione da un pranzo. Di solito il tempo è bello, il mare calmo, sorrisetto di circostanza per l’immancabile fotografo che offrirà le sue "opere" dietro lauto compenso. Non entro nel merito se la nave fosse troppo vicina alla terra, si parla addirittura di 150 metri, cosa pressoché impossibile, sono pur sempre figlia di un comandante! La scotola nera dirà esattamente, al centimetro, le coordinate della nave al momento dell’impatto. Né voglio giudicare l’operato del comandante. Di ciò ne darà conto agli organi competenti. Pur ammettendo la orribile "stranezza" che sia arrivato a terra quando ancora a bordo vi erano tantissime persone. Tutti mettono in evidenza il non tempestivo intervento del personale di bordo. Forse non tutti sanno che il personale si muove solo nel momento in cui sente i famosi sette fischi brevi seguiti da uno lungo, ma ciò non vuol dire abbandonare la nave. Per esempio io marinaio che ascolto questo segnale, non devo fare altro che recarmi al punto di riunione al quale sono destinato, obbedendo così al cosiddetto "ruolo d’appello", che non è altro che un manifesto dove compare tutto l’elenco dell’equipaggio e le varie loro destinazioni nelle varie emergenze di bordo. Questo segnale non significa affatto che bisogna prepararsi ad abbandonare la nave. L’ordine di "abbandono nave" deve essere fatto esclusivamente dalla voce del comandante. Nel contesto della tragedia immaginate che, dopo l’urto, l’adrenalina si mette in circolo ed il tempo di "riordinare le idee" è quantificabile in frazioni di secondi. Aggiungete che rimane tutto al buio e che la nave cominci a sbandare. Parte del personale di bordo non può materialmente raggiungere il proprio posto di riunione, i compiti si accavallano, gli stessi passeggeri vengono presi dal panico, non sanno cosa fare, magari hanno lasciato i bambini alla "nursery", giustamente si preoccupano, essi stessi non seguono le istruzioni che ben chiaramente appaiono in ogni cabina, il caos prende il sopravvento. In questo contesto metterei alla prova il miglior equipaggio del mondo a gestire questa apocalittica situazione. Le immagini del Titanic ci hanno insegnato che buttarsi in mare è l’ultima cosa da fare e che la nave, ancora affiorante, è il miglior mezzo di salvataggio. Poi pretendere che tutti i mezzi di salvataggio non erano efficienti mi sembra colossalmente assurdo. E’ evidente che in una nave sbandata, a parte che il 50% di detti mezzi sono inutilizzabili, il resto lavoravano in condizioni di estrema difficoltà tecnica. I cavi d’acciaio si "incattivano". I verricelli sono sotto sforzo, 100 persone che si contendono il posto destinato magari a venti passeggeri e magari la propria lancia, in caso di abbandono nave, si trovava dal lato opposto, cioè quella inutilizzabile. Calma quindi ad emettere giudizi, la stessa calma che si raccomanda sempre ai passeggeri e che, purtroppo non poteva essere raggiunta. Forse la stessa calma che è sfuggita di mano al comandante. Non certo per la giusta decisione di "spiaggiare" la nave, ma per quella di aver lasciato persone sulla SUA nave.
Mio padre, e adesso scrivo da figlia e forse un giorno commissario di bordo, e non da giornalista, il 21 marzo 1985 sulla SUA nave “Giano”, mentre montava di servizio nello Stretto di Messina, a seguito dello speronamento ai danni della petroliera “Patmos” battente bandiera greca, dalla Castillo de Monte Aragon, battente bandiera spagnola, invece di procedere con la sua normale corsa, ha pensato bene di andare sottobordo e salvare la vita a 27 uomini dell’equipaggio “Patmos”. Questa è una storia che è stata raccontata con omissioni, lacune, carenze, e spesso, con un bel po’ di fantasia… colgo l’occasione per dire, in sintesi, che la nave bidirezionale della Caronte “Giano” e il suo equipaggio, quella mattina ha portato a termine il salvataggio di 27 persone (tre sono morte perché d’istinto si sono gettate in mare ndr), senza pensare a ciò che sarebbe successo dopo, rischiando la vita, il mezzo e la carriera. A quegli uomini è stata data una medaglia di bronzo di benemerenza marinara, mentre quella d’oro è stata assegnata a un comandante di un rimorchiatore che si è presentato sul luogo dell’incidente…l’indomani…meditiamo…
Emanuela De Domenico