UNA SOCIETà DISORDINATA E INDIVIDUALISTA

Egregio Direttore,

“Noi siamo da secoli/calpesti, derisi/perché non siam popolo/ perché siam divisi …” così recita il nostro inno nazionale. E’ forse nella storia d’Italia che van ricercate le fonti di quell’individualismo eccessivo, di quella mancanza del senso dello Stato, di quel menefreghismo riguardo alla “cosa pubblica” e al “bene comune” che ci contraddistingue rispetto ad altri popoli e ad altre nazioni. Essendo state sfruttate per secoli da questo o da quel governo straniero, eccettuato il Piemonte sabaudo, le varie popolazioni della penisola hanno imparato egregiamente ad adeguarsi al sistema, hanno cioè elaborato nel tempo quell’“arte dell’arrangiarsi” (“Franza o Spagna/basta che se magna”) che ha loro permesso di passare senza troppi danni attraverso tante bufere e di sopravvivere alla bene-meglio (nonostante le raccomandazioni di Santa Romana Chiesa) fregando il prossimo e lo Stato-padrone. Sostanzialmente mantenendo sempre l’atteggiamento del servo furbo e imbroglione, che cerca di aggirare allegramente leggi e balzelli imposti da governi che fondamentalmente sente come estranei e ostili. Governi che finora sono stati volentieri al gioco, con connivenze e favoritismi assurdi e immotivati per ingraziarsi il “popolo-bue”.
Ma alla fine il giochino si è rotto, ed ora che siamo entrati in Europa, e con un’unica moneta, i nodi vengono al pettine. Dopo 10 anni di Euro che ci ha avvantaggiati evitandoci continue svalutazioni, i nostri partners europei ci hanno capiti ed hanno chiaramente manifestato di non essere più disposti a tollerare ulteriormente i danni che col nostro allegro comportamento a tutti arrechiamo.
E qui sta il dilemma: con la mentalità diffusa che ci ritroviamo saremo capaci di adeguarci ai comportamenti “virtuosi” (si fa per dire, comunque eticamente migliori dei nostri) delle Nazioni del Nord e della Media Europa, per esempio della Germania che ha ridotto gli stipendi dei salariati anche nel pubblico impiego senza proteste da parte delle categorie interessate per salvare l’economia del paese? Non lo credo proprio, visto che qui da noi appena si tenta di togliere qualche privilegio storico, anche se anacronistico e assurdo, subito si assiste ad una levata di scudi col rischio o di far cadere il Governo o, per il quieto vivere, di lasciar tutto come prima. Alludo alle “liberalizzazioni” che il Governo dei tecnici cerca faticosamente di portare avanti tra le opposizioni e i “distinguo” avanzate dalle parti interessate, dalle lobbies e dai partiti che le sostengono. Così non si può andare avanti, dovremmo tutti darci una regolata soprattutto in un momento così difficile come quello in cui oggi il Paese si trova. Se ne va della nostra reputazione, della nostra credibilità, e direi anche della nostra “salvezza”. E le liberalizzazioni rischiano di trasformarsi nell’ennesima “pochade” (commedia), aumentando la confusione ed il disordine a causa della moltiplicazione dei soggetti interessati e del prevedibile aumento della litigiosità, con una concorrenza sleale difficilmente controllabile che sicuramente non produrrà i frutti sperati (cioè diminuzione dei costi per i consumatori) ma solo qualche migliaia di posti di lavoro in più (il che non risolverà che in minima parte il problema della disoccupazione).
La verità è che nessuno vuol fare sacrifici, e forse non ne ha tutti i torti; infatti c’è da chiedersi perché non si è cominciato col ridimensionamento degli emolumenti dei nostri governanti e politici ad ogni livello, nonché dei tanti managers pubblici e privati che percepiscono stipendi eccessivamente elevati (soprattutto se rapportati al loro rendimento effettivo): forse così i sacrifici richiesti a certe altre categorie sarebbero stati più credibili, più accetti e meno indigesti.
Concludo esprimendo il mio “pessimismo razionale” rispetto ad una qualche possibilità di uscita dalla crisi attuale, in quanto mi sembra impossibile far cambiare in poco tempo agli Italiani questo inveterato e distorto atteggiamento mentale che fa loro privilegiare l’interesse “particulare” rispetto a quello generale, cioè a quello della “polis”, della collettività, che in ultima analisi comprende anche gli interessi particolari di ognuno di noi. Ma vai a fargliela capire !

Giovanni Dotti – Martino Pirone