Egregio Direttore,
bene ha fatto il Governo Monti a declinare la candidatura di ROMA per le Olimpiadi del 2020, forse anche prevedendo le “abbuffate” che ne sarebbero scaturite. Altrimenti è facile prevedere che saremmo finiti come la Grecia moderna, che per quelle del 2004 si è letteralmente svenata, iniziando quella precipitosa caduta economico-finanziaria che l’ha portata alla situazione attuale.
Ripensando alla storia ricordo che i Greci antichi, frazionati in varie “polis” spesso anche in contrasto tra loro, riuscirono a ottenere una sintesi “pacifica” della loro “unità nazionale” (se così si può dire) aggregando forze diverse intorno a una “città simbolo”, OLIMPIA, dove ogni quattro anni confluivano per i giochi (“internazionali” per il tempo) tutte le polis dell’Ellade con i loro atleti migliori. Se il mondo allora conosciuto dai Greci era praticamente limitato alla loro penisola e pochi stati costieri vicini, oggi che il mondo non conosce confini e si è esteso all’intero globo terracqueo non si potrebbe fare qualcosa di simile, cioè individuare UNA CITTA’ DEL MONDO in cui svolgere d’ora in poi le OLIMPIADI MODERNE? Si eviterebbero così inutili, ignobili e campanilistiche diatribe, e si concentrerebbero gli impegni finanziari di tutti gli Stati mondiali, ognuno secondo le sue possibilità di spesa, per la costruzione e la manutenzione nel tempo di quelle strutture e infrastrutture necessarie al migliore svolgimento dei GIOCHI OLIMPICI, che anche potrebbero essere utilizzate per eventuali altre manifestazioni sportive internazionali. Strutture che in tal modo resterebbero fisse nel tempo e pienamente utilizzate, e non finirebbero abbandonate come ora spesso avviene dopo la fine dei giochi. E così i cosiddetti Stati Sovrani (che tanto “sovrani” oggi non sono più perché dominati dalla grande finanza internazionale che muove il mondo capitalistico) potrebbero anche risparmiare molte risorse da destinare a fini più nobili e umanitari, soprattutto per i servizi sociali a favore delle fasce sociali più deboli. Sarà forse un’utopia, ma io la penso così.
Giovanni Dotti