Spread sotto quota 300. L’Italia ha passato il guado?

Mario Draghi lascia il tasso invariato, accennando a una timida ripresa dell’eurozona, lo swap in Grecia va a buon fine e e lo spread fra BTp e Bund tedeschi a dieci anni scende sotto quota 300 punti. "Era il principale motivo di preoccupazione sui mercati finanziari. Così ieri – scrive IL SOLE 24 ORE – , quando nel pomeriggio la Grecia ha annunciato che la ristrutturazione dei suoi titoli di Stato aveva raggiunto almeno la soglia minima del 75% di adesioni, per gli investitori è stato come togliere un peso dallo stomaco: il tanto temuto ‘default disordinato’ di Atene è stato probabilmente evitato. Questo non significa che la Grecia sia fuori dal guado. Significa però che il botto, almeno per ora, non dovrebbe esserci. E, incrociando le dita, neppure il tanto temuto effetto domino su altri Paesi come Portogallo, Spagna o Italia. Per i mercati il sospiro di sollievo è stato ovvio: le Borse sono volate, i BTp hanno ridotto lo spread sui Bund tedeschi fin sotto i 300 punti base (record da settembre), l’euro si e’ rafforzato. In nottata sono arrivate indiscrezioni ancora piu’ suggestive: 85% (secondo Bloomberg) o addirittura 95% (secondo Reuters): se cosi’ fosse, l’euforia potrebbe continuare oggi. Il sollievo, cresciuto durante la giornata pian piano che arrivavano le notizie dalla Grecia, ha interessato un po’ tutti i mercati.
Le Borse hanno preso il volo, chiudendo con rialzi compresi tra l’1,62% di Milano e il 2,54% di Parigi. L’onda lunga dell’entusiasmo e’ arrivata fin oltre l’Oceano Atlantico, facendo salire Wall Street dello 0,98% nonostante i pessimi dati americani sui sussidi alla disoccupazione. I titoli di Stato dei Paesi periferici sono stati comprati, da quelli spagnoli a quelli del Belgio. Ma gli acquisti hanno interessato soprattutto quelli italiani: i BTp decennali hanno infatti ridotto i rendimenti di 0,15 punti percentuali, chiudendo con un tasso del 4,81% (minimo da giugno). Questo ha ridotto lo spread sui Bund (cioe’ il sovra-rendimento che i BTp italiani pagano rispetto ai titoli tedeschi): in mattinata e’ sceso fino a 292 punti base e alla fine ha chiuso a 300. Netto, ormai, il vantaggio dell’Italia sulla Spagna: i titoli decennali di Madrid ieri erano costretti a offrire un quarto di punto percentuale in piu’ dei BTp per trovare qualcuno disposto a comprarli. Livello che non si vedeva dallo scorso luglio". Allo stesso tempo LA REPUBBLICA ricorda che "la virtu’ perduta non e’ cosi’ lontana: meno di un anno fa, il 12 aprile 2011, lo spread fra l’interesse sui Btp e quello sui Bund era a 122 punti. Un livello che, a prima vista, dopo la lunga notte della crisi, sembra impossibile. Il problema e’ che lo spread e’ un po’ un’illusione ottica: dipende sia dal comportamento dei Btp italiani che dei Bund tedeschi. E i titoli di Berlino, quel 12 aprile, pagavano un interesse del 3,49 per cento: e’ stato l’assalto successivo ai paesi mediterranei e la fuga degli investitori verso il rifugio dei Bund che ne hanno fatto schizzare verso l’alto i prezzi e crollare i rendimenti, fino all’attuale 1,70-1,80 per cento. Per avere una fotografia piu’ esatta della situazione, conviene guardare, piu’ che allo spread, al rendimento dei Btp. Sempre a meta’ aprile scorso, i titoli decennali italiani pagavano un interesse del 4,71 per cento. Ieri, eravamo molto vicini: 4,82 per cento.
In altre parole, il debito pubblico italiano sembra aver finalmente riguadagnato una quota di galleggiamento. Possono scendere ancora spread e rendimenti? Molto dipendera’ da cosa accade ai titoli tedeschi, ma molto di piu’ dal comportamento futuro dei Btp italiani e dalla politica che li rappresenta.
‘Se continuiamo cosi’, con il processo di riforme – ha detto qualche settimana fa il presidente del Consiglio, Mario Monti – lo spread puo’ scendere anche a zero’. Al momento, sembra una prospettiva ancora improbabile. Piu’ verosimilmente, il direttore generale della Banca d’Italia, ha indicato un obiettivo inferiore ai 200 punti. Per centrarlo, occorre che una serie di scadenze, italiane ed europee, delle prossime settimane si risolvano nel senso voluto dal governo. La piu’ significativa e’ la riforma del mercato del lavoro, che dovrebbe chiudersi entro marzo. Monti l’ha indicata come quel "segnale di discontinuita’" con la politica precedente che i mercati si aspettano. Una buona riforma (tocchi di piu’ o di meno l’articolo 18) varrebbe, sempre secondo Monti, 200 punti di spread. Quando il presidente del Consiglio ha pronunciato queste parole, a gennaio, lo spread con i Bund era a quota 500: oggi, probabilmente, l’impatto sarebbe assai minore, ma potrebbe avvicinare il Btp all’obiettivo indicato da Saccomanni. Ma non e’ l’unico appuntamento. Fra marzo e aprile, il Tesoro affronta due maxiaste dei titoli pubblici.
Se verranno superate positivamente, come e’ gia’ avvenuto per l’asta di febbraio, l’Italia avra’ scavallato il momento piu’ difficile del 2012 per il nostro debito pubblico: a quel punto, infatti, avremo rifinanziato quasi la meta’ di tutti i soldi che chiediamo, quest’anno, ai mercati". Intanto da Francoforte arriva qualche segnale di incoraggiamento per l’economia del Vecchio Continente. IL CORRIERE DELLA SERA fa il punto sulla conferenza stampa di Mario Draghi. I maxi-prestiti sono stati un ‘successo indiscutibile’, per i mercati dell’eurozona, grazie anche alla partecipazione di un numero molto elevato di banche, anche di piccole e medie dimensioni, e quindi ‘piu’ vicine al mercato’, ha commentato ieri il presidente della Banca centrale europea Mario Draghi, con una punta di ottimismo. Sottolineando che la recente iniezione di liquidita’ da 530 miliardi a 800 banche ú oltre a quella da 490 miliardi a 530 banche effettuata in dicembre ú ha ‘evitato rischi estremi’ per la zona dell’euro. E nelle prossime settimane, oltre ai ‘segni di un ritorno della fiducia’ e di miglioramento dei mercati, l’ex governatore di Bankitalia si attende ‘un ulteriore effetto di stabilizzazione dei mercati e soprattutto dell’attivita’ creditizia’, gia’ in lieve crescita nel mese di febbraio. La Bce ha dunque ‘fatto la sua parte’, e ora secondo Draghi ‘la palla passa ai governi e alle banche’, esortandoli, nonostante i progressi compiuti da alcuni Paesi, a proseguire con ‘urgenza’ nel risanamento dei conti pubblici, nelle riforme, e nel riequilibrio dei bilanci, per migliorare le prospettive di crescita. E questo perche’, l’attivita’ economica, in via di ‘stabilizzazione’, dopo un quarto trimestre difficile, conoscera’ quest’anno una ripresa ‘molto graduale’, ma con rischi ancora ‘di ribasso’, per le gravi incertezze nei mercati. Per questo lo staff della Bce prevede per il 2012 un calo del pil, pari allo 0,1% (contro lo 0,3% di dicembre), e una crescita dell’1,1% per il 2013. Secondo molti economisti, servirebbe un ulteriore taglio del costo del denaro. Ma il Consiglio direttivo ha lasciato i tassi invariati all’1%, senza discutere un ritocco, in quanto l’inflazione, secondo le stime della Bce, rimarra’ nel 2012 intorno al 2,4% (contro il 2% di dicembre), a causa del caro-petrolio e delle imposte indirette, e calera’ all’1,6% nel 2013. Inoltre, il numero uno della Bce ha attenuato il dibattito sollevato dalle critiche del capo della Bundesbank Jens Weidmann, ridimensionando i rischi derivanti dai maxi-prestiti (ben gestiti e inferiori a quelli assunti in Usa e Gran Bretagna). ‘Siamo nella stessa barca, e non c’e’ nulla da combattere o da guadagnare’, da un dibattito pubblico al di fuori del Consiglio, ha detto il presidente Bce".

Di crisi, di eurozona, di Italia e di riforme parla con LA STAMPA Lorenzo Bini Smaghi, fino a pochi mesi fa membro del Consiglio direttivo della Bce. "Lorenzo Bini Smaghi e’ in Italia per l’inaugurazione della mostra ‘Sognatori americani’, a Firenze, dove presiede la Fondazione Palazzo Strozzi. ‘L’unica – dice orgoglioso – con pubblico e privato in perfetta parita’ di titoli’. Il vernissage raccoglie autori come Laura Ball, acquerelli quasi da fumetto, o Patrick Jacobs con false immagini urbane, che, secondo il catalogo, ‘utilizzano fantasia… per costruire possibili mondi alternativi di fronte alla realta’…
difficile del presente’. Nella citazione dell’onnivora crisi Bini Smaghi ritrova il mestiere lasciato a fine anno, l’executive board della Banca centrale europea a Francoforte.
Ora fa ricerca al Centro Weatherhead dell’universita’ di Harvard, e gli economisti americani gli domandano non gia’ ‘dei mondi alternativi’ ma del ‘difficile presente’: ‘Sono persuasi di starsi tirando fuori dai guai con una ricetta di sviluppo, si meravigliano perche’ noi europei non ci decidiamo a seguirla. Ad Harvard alzi il telefono, chiami Lawrence Summers, l’ex segretario del Tesoro, ti dice la sua in due parole, tutto molto piu’ diretto che da noi’. A che punto e’ la crisi in America? ‘Tutte le scelte sono dettate dalle elezioni per la Casa Bianca. La bussola e’ sulla crescita, lo stimolo, in gergo diciamo "denominatore". I tassi d’interesse devono restar bassi e si accettano i rischi, nuove bolle, disavanzo pubblico elevato, debito. Ma fino alle elezioni di riforme fiscali o debito delle famiglie non si parlera’. Funzionerà a breve. I numeri ultimi dell’occupazione non sono smaglianti, ma da tre mesi migliorano. Ad Harvard si meravigliano che noi europei preferiamo la strada opposta del rigore’. Hanno ragione?
‘Sono situazioni diverse. In Europa non c’e’ una singola scadenza elettorale che vincoli insieme i 17 Paesi. L’euro esiste da dieci anni, non funge ancora da valuta di riserva come il dollaro. Washington puo’ vendere bond a prezzi stracciati, noi non ancora. E c’e’ il peso dell’economia pubblica, piu’ tasse, la rigidita’ del mercato…’. Sarkozy parla di aumentare le tasse, il rivale socialista Hollande promette un’aliquota del 70% sui redditi di un milione di euro l’anno come il socialdemocratico tedesco Gabriel per il 2013. E’ l’eta’ fiscale del ferro in Ue? ‘Negli Usa dicono che la Cina e’ gia’ XXI secolo, l’America e’ nel XX e prova a passare al futuro, noi europei siamo vestigia del XIX. Quando guardano la Grecia in tv o studiano Spagna, Portogallo e Italia, li preoccupa la sostenibilita’ politica del rigore’.
Insomma fa da ambasciatore economico del Vecchio Continente: come sembra l’Europa vista dall’America? ‘Sono stati fatti passi in avanti per risolvere la crisi del debito, ma non risolutivi. E’ mancata la coscienza comune dei 17 Paesi euro che solo andando avanti, insieme, si esce dalle difficolta’ perche’ tornare indietro sarebbe un dramma. Invece si agisce solo sotto il pungolo dei mercati in fibrillazione. A un passo dall’abisso ripensiamo alle riforme, ritocchiamo le pensioni. Ma la sfida della competizione globale non si soddisfa con provvedimenti casuali. Occorrono riforme strutturali. Se l’eta’ per la pensione deve essere 67 anni non si puo’ piu’ andare in pensione a 65. Punto. La forza della Germania e’ avere fatto dolorose riforme gia’ col cancelliere Schroeder. Oggi raccolgono i frutti’. Le riforme sono ora in agenda in Italia col premier Mario Monti: ce la faremo? ‘C’e’ un falso segreto in Italia: siamo un mercato protetto. Stato, imprese e sindacati preferiscono rifugiarsi in settori a scarsa concorrenza e bassa competizione. Per gli insider e’ una sicurezza, ma non creiamo lavoro. Per l’Italia il cammino nella crisi puo’ ancora essere lungo. Per crescere dovremmo svilupparci nei settori competitivi nel mondo. Serve riformare la giustizia, far saldare i crediti delle aziende con la pubblica amministrazione, snellire la burocrazia e eliminare rigidita’ sul mercato del lavoro. L’articolo 18 e’ diventato icona, ma se non sappiamo competere con le regole del mercato globale perderemo lavoro. Il 2012 sara’ quindi molto duro, nel 2013 altri paesi cresceranno, noi faticheremo. Se il debito sul Pil non scende, i mercati torneranno a innervosirsi. Anche voi dei media avete responsabilita’: chi sa che nel decennio euro abbiamo perduto il 25% di competitivita’ sulla media europea e il 35% sulla Germania? Monti lo sa e deve tenere duro’. E’ la scommessa del ministro Passera, la crescita: che idee ha? ‘Ho letto il libro di Edoardo Nesi, "Storia della mia gente", bravo scrittore, ma sono le idee che non funzionano, il sogno di tornare a una patria delle lettere che rilutta a competere.
Servono aziende capaci di innovare, alla Luxottica o Brunello Cucinelli. I nostri ragazzi devono imparare la matematica, non aspettare il posto fisso che non c’e’ piu’. Il modello italiano ideale, piccolo e’ bello, banche perfette, era utopia. I Medici crearono le moderne banche persuadendo la Chiesa con il patronage dell’arte: ma non appena caddero nel nepotismo, capitalismo di relazione lo chiameremmo oggi, il loro vantaggio strategico svani’. Innovare e’ la parola chiave, non c’e’ diritto feudale al benessere. Provincialismo e ignoranza sono nemici mortali’. Questa e’ la sua prima intervista in Italia da quando ha lasciato la Banca centrale europea, dopo l’insediamento al vertice di Mario Draghi, che proprio in queste ore ha difeso la Bce dalle critiche dicendo che il credito sta arrivano ora alle banche piccole, le piu’ vicine alle Pmi, e negando ogni attrito con la Bundesbank.
Come le sembra la Bce da Harvard? ‘Ho votato anch’io l’ultima iniezione di liquidita’, a dicembre, la strada e’ giusta. E’ boccata d’ossigeno indispensabile a guadagnare tempo nella crisi. Poi occorre ripartire’. Sul ‘Financial Times’ ha scritto di ‘rischio tossicodipendenza per le banche’. ‘Si’.
Va evitato il rischio che le banche ritardino la messa a posto dei bilanci e il rafforzamento del capitale, ipnotizzate dalla liquidita’. La Bce deve vigilare su manager e azionisti perche’, quando la crisi passera’, le banche siano in grado di farcela da sole, senza sostegni. Accanto al "fiscal compact" indispensabile in Europa, serve un parallelo "supervisory and regulatory compact". Se no, finiamo dritti nel "decennio perduto" dell’economia giapponese’. Il presidente Draghi ha detto anche che forse la crisi peggiore e’ alle spalle, pur nella contrazione 2012 ‘La Banca centrale non deve farsi intimidire, deve andare avanti sulla stabilita’ dei prezzi, come ha fatto con successo per dieci anni. Deve sempre decidere, anche a rischio di sbagliare, sapendo che non decidere e’ di sicuro un errore’. Quindi non e’ la testardaggine della Cancelleria Merkel il problema? ‘I tedeschi sono piu’ europeisti di francesi e italiani. Il parlamento tedesco ha sempre, con puntualita’, saldato i conti della crisi del debito. I tedeschi hanno sbagliato meno degli altri europei. Hanno disoccupazione piu’ bassa dei tempi pre crisi, hanno innovato l’industria, pagato le tasse.
Competere nel mondo globale non e’ un frutto della genetica, ma di fatica, etica del lavoro. E’ bene ricordarselo’.
Finiamo sulla Cina, che ha definito il XXI secolo ‘Con Xi Jinping va al potere la generazione che dovra’ gestire gli squilibri creati dal boom. Ogni economia ha i suoi cicli, ci sara’ un rallentamento anche a Pechino, speriamo non entro tre anni, sarebbe esiziale per tutti’".