No alla concessione degli arresti domiciliari a favore di quei detenuti che lamentano malattie psicologiche per le quali può essere ipotizzato anche ‘il rischio suicidario’, in quanto anche negli istituti di reclusione possono essere praticate cure per le sindromi depressive. Lo sottolinea la Cassazione. Con la sentenza 10963, infatti, la Suprema Corte ha accolto il ricorso della Procura di Palermo contro la concessione degli arresti domiciliari a favore di un mafioso, Leonardo Ippolito, ai quali il beneficio era stato concesso, dal Tribunale del riesame di Palermo il 7 novembre 2011, in considerazione delle sue condizioni di salute. Ad avviso della Procura di Palermo ‘la patologia riscontrata era di tipo meramente psicologico’ e la circostanza non può essere considerata ‘un valido elemento’ a sostegno ‘dell’ipotizzato rischio suicidario’. I supremi giudici hanno accolto l’obiezione e hanno sottolineato che tra le condizioni di salute particolarmente gravi che, precludono la custodia in carcere, ‘non devono identificarsi quelle patologie che, anche se marcate, sono, per cosi’ dire, connaturali alla privazione della liberta’ personale, quali la sindrome ansioso-depressiva’. Le patologie gravi, spiega la Cassazione, sono quelle che ‘a prescindere dalla posizione di detenzione del paziente, si oggettivizzano da sole, assumono una propria autonomia e sono connotate, oltre che dalla gravità, dalla insuscettibilita’ di essere risolte o curate in costanza di detenzione’. In questo caso, la Cassazione ha ordinato al Tribunale di Palermo di verificare se nel carcere di Torino, dove e’ recluso questo detenuto, sia possibile fornirgli il ‘supporto specialistico’ di tipo psichiatrico o psicologico di cui necessita.