Egregio Direttore,
ma sono proprio inconciliabili le due diverse modalità di approccio al problema del lavoro, in particolare all’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori ? Da una parte quella dei “Professori” al Governo che vedono i problemi unicamente sotto il profilo efficientistico, o meglio “economico-utilitaristico”, cioè del rendimento e del profitto (in questo stando, almeno questo mi sembra, più dalla parte degli imprenditori e delle destre più retrive e conservatrici che dei lavoratori dipendenti), dall’altra quella – direi più “umanistica”- dei Sindacati e dei Partiti della Sinistra che considerano i Lavoratori (come del resto anche la Chiesa Cattolica) “esseri umani” con tutti i diritti che necessariamente ne conseguono. Certo che in un “mercato” globalizzato anche il LAVORO è considerato una MERCE e quindi viene messo in bilancio dalle Aziende unicamente come un COSTO, costo che deve essere (unitamente a quello delle altre voci del bilancio, come impianti di produzione, materie prime ed energia) il più basso possibile per arginare la CONCORRENZA, ormai a livello MONDIALE.
Quindi se ognuna delle parti continua ad irrigidirsi sulle proprie posizioni (teoricamente valide entrambi) e non cerca di capire anche la mentalità ed i problemi dell’altra, difficilmente si arriverà ad una soluzione che non penalizzi solo una parte.
Personalmente ritengo che si possa raggiungere un’intesa soddisfacente per tutti guardando agli Stati dove le cose vanno meglio, come la vicina Germania, e adottare di comune accordo quelle normative che permettano da un lato il mantenimento di certi diritti fondamentali dei Lavoratori “onesti”, e dall’altro una giusta possibilità per le aziende di “alleggerire” il carico delle maestranze quando il “mercato” tira meno, nonché di poter disfarsi – ma senza alcun intento discriminatorio – di quei soggetti (fortunatamente pochi) che per comprovati motivi ostacolano in vario modo il buon andamento della produzione aziendale. Per questo si potrebbe anche riformulare il contestato “Art.18” in una veste più “moderna”, introducendo le giuste garanzie per i Lavoratori, pur mantenendo lo spirito fondamentale che lo ha ispirato.
Comunque vadano le cose resto sempre nella convinzione che non è l’art. 18 il male peggiore, bensì l’ECCESSIVO COSTO GLOBALE DEL LAVORO, soprattutto per quanto riguarda il carico contributivo e burocratico, che frena gli investimenti, impedisce la nascita di nuove imprese e di conseguenza riduce l’occupazione nel nostro Paese. A questo dovrebbe pensare una “buona politica” anziché a litigare sull’art. 18.
Giovanni Dotti