Che succede al governo Monti? Lo spread è a quota 400, record negativo dal 31 gennaio; la borsa di Milano è di nuovo maglia nera, anzi nerissima in Europa; la spinta riformatrice sembra arenata sulle secche del mercato del lavoro. Per di più lo stesso Mario Monti è da molto tempo assente dall’Italia, prima per il lungo tour in Estremo Oriente, poi per quello in Libano, Palestina e Israele. Scacchieri strategici – soprattutto il primo sul piano economico – dove però l’accoglienza e il successo sembrano piu’ di forma che di sostanza. A tutto ciò si aggiunge la vicenda dei due militari italiani prigionieri in India, che si complica di giorno in giorno senza una decisa iniziativa politica da parte di palazzo Chigi. Perfino la luna di miele con la grande stampa internazionale sembra finita. Esemplare la polemica tra il premier ed il Wall Street Journal. Dall’edizione americana del quotidiano era partita venerdì scorso una bordata di critiche alla riforma del lavoro: "In un attacco improvviso di euro-follia abbiamo sperato che Monti potesse essere un leader stile Thatcher, pronto a prendere posizione contro un moderno Arthur Scargill (il leader del potente sindacato dei minatori britannici negli anni 80) ma dopo la resa davanti al partito di sinistra, che sostiene la sua coalizione di governo, il paragone piu’ appropriato per Monti e’ con Ted Heath, lo sventurato predecessore della Thatcher". Monti ha risposto che non ambisce ad essere la Thatcher italiana, sperando che la polemica si chiudesse qui. Il WSJ ha invece rilanciato l’editoriale nell’edizione asiatica, quella diretta ai mercati che il premier aveva blandito pochi giorni fa, cercando di convincerli a investire in Italia proprio sulla base della riforma dell’articolo 18.
Dal nostro punto di vista, il problema del governo ci sembra duplice. C’e’ un nuovo allarme debito, che stavolta ha come epicentro la Spagna ma che torna a contagiare anche l’Italia. E c’e’ una crescita ai livelli piu’ bassi d’Europa e dell’Ocse, una recessione che costa in termini di posti di lavoro, di produzione, di consumi e di introiti fiscali. Con il rischio che per centrare il pareggio di bilancio del 2013 si debba ricorre ad una seconda manovra di rigore, finora sempre smentita. Il primo problema e’ oggettivo: l’Italia ne e’ una parte, o se preferiamo una vittima. Il secondo e’ invece soggettivo. E’ vero che la crescita non si fa per decreto – a differenza delle tasse – pero’ la si puo’ propiziare con misure che convincano i mercati, stimolino le imprese, aiutino i consumi. E qui si puo’ dire che la delusione e’ notevole. La prima occasione sprecata si chiama liberalizzazioni: settimane a discutere di taxi, farmacie e orari dei negozi. Certo, si e’ data liberta’ di apertura alle panetterie e agli altri esercizi, ma chiunque abbia girato le nostre citta’ nel ponte pasquale ha visto, fuori dai centri storici, solo saracinesche chiuse. D’altra parte se fossero rimaste alzate non avrebbero fatto affari d’oro. In compenso si annunciano aumenti a doppia cifra non soltanto sui carburanti, ma sulle bollette domestiche, esattamente come avevamo previsto notando che nulla era stato fatto in materia di servizi pubblici e aziende municipalizzate.
L’altra grande occasione sprecata e’ appunto il mercato del lavoro. Quella che doveva essere una riforma strutturale e addirittura epocale sta diventando un modesto lifting al testo precedente, che in Parlamento rischia di essere ulteriormente svuotato. La mediazione politica, soprattutto con il Pd e con la Cgil, ha impedito che si intervenisse con decisione sull’articolo 18; il che sta producendo ora una levata di scudi sulla cosiddetta flessibilita’ in entrata – che la nuova legge avrebbe irrigidito "a beneficio" di giovani e precari – con il risultato che alla fine cambiera’ ben poco. Naturalmente Monti ha tutto il diritto e il dovere di sostenere il contrario. Ma per ora i mercati, e quel che e’ piu’ importante le imprese e gli investitori, non sembrano credergli. Ad aggravare la situazione ci sono le due aste di titoli pubblici per un importo di 14-16 miliardi. Si rischia di pagarli molto piu’ cari rispetto ai cali di rendimento ottenuti soprattutto a marzo, grazie anche alla liquidita’ data alle banche dalla Bce. Di certo c’e’ che nessuna misura e’ stata finora presa per favorire la crescita, dopo la prima e limitata tornata di sblocco di infrastrutture, e questo riguarda soprattutto il ministro dello Sviluppo, Corrado Passera. Ed egualmente nulla e’ stato fatto per aggredire direttamente lo stock del debito, il che riguarda il Tesoro, cioe’ Monti stesso e il suo vice Vittorio Grilli. Nessuna privatizzazione e’ stata messa in cantiere, con il rischio che il prossimo governo, tanto piu’ se sara’ di sinistra, si faccia nuovamente tentare dalle sirene della patrimoniale. Oltre al danno, la beffa, dopo l’aumento esponenziale della pressione fiscale, senza peraltro che si siano visti benefici effettivi sui conti dello Stato.
Naturalmente in tutto cio’ ha ancora molta responsabilita’ l’Europa, prona di fronte al rigorismo tedesco, al contrario del resto del mondo che discute ormai solo di economia reale. Ma l’Italia, oltre ad eseguire i compiti a casa chiesti appunto dalla Merkel, che sta facendo? Il rischio vero e’ che – mentre i partiti tentano di riorganizzarsi per una lunghissima e doppia campagna elettorale (c’è anche il Quirinale), attratti ora anche dal serbatoio dei voti leghisti – i tecnici seguano il destino di alcuni loro illustri predecessori: di finire prematuramente nella "riserva della Repubblica". Monti, se c’è, batta un colpo.