Giornata nera, quella di ieri, per i mercati europei. La cronaca di quanto accaduto sul SOLE 24 ORE. "L’incertezza sulle elezioni presidenziali francesi e, soprattutto, le dimissioni del governo olandese guidato dal Premier Mark Rutte hanno innescato le vendite. Un flusso di ‘sell’, agevolato anche dal deludente dato macro del Pmi di Eurolandia, che ha colpito sia le Borse che i titoli di Stato. Piazza Affari, maglia nera nel Vecchio continente, ha chiuso in calo del 3,83%. Male, un po’ un’eccezione di questi tempi, anche Francoforte (-3,36%). Giù tutti gli altri listini europei: da Parigi (-2,83%) ad Amsterdam (-2,56%) fino a Madrid (-2,76%). Alla fine, con l’indice paneuropeo in rosso del 2,44%, in Europa sono stati ‘bruciati’ circa 160 miliardi di capitalizzazione. Nella sola Milano in fumo circa 12 miliardi di market cap. Una giornata pesante, insomma, non aiutata di certo dai mercati sull’altra sponda dell’Atlantico: a Wall Street l’S&P500 ha ceduto lo 0,84% mentre il Nasdaq ha perso l’1%. In un simile scenario gli spread dei Paesi periferici sono saliti. Il differenziale BTp-Bund e’ passato dai 396 punti base di venerdi’ scorso ai 409 di ieri. Un valore, a fronte del rendimento del BTp al 5,73%, comunque ben al di sotto dei 519 basis point di fine 2011. E ancora piu’ lontano, val la pena ricordare, dal record del 9 novembre (575). In crescita, poi, lo stesso spread di Madrid che, con il bonos decennale al 6%, ha raggiunto quota 436. Numeri che segnalano lo stress, ormai conosciuto, sui debiti pubblici di Italia e Spagna. Cui, pero’, si e’ aggiunta ieri una novita’, non da poco. Quale? E’ presto detto: il forte calo delle quotazioni dei governativi olandesi. (à) Le dimissioni del premier Rutte, da sempre uno dei ‘falchi’ con la cancelliera Angela Merkel e i leader scandinavi del rigore fiscale, sono state interpretate in maniera negativa dai mercati. Un po’ perche’, dopo l’apertura della crisi, si e’ allontanato il varo della manovra per portare il Deficit/Pil al 3% nel 2013 e scongiurare cosi’ il taglio della Tripla ‘A’ minacciato dalle agenzie di rating. E un po’ perche’ la caduta di uno dei baluardi della politica dell’austerity e’ stata interpretata come il possibile inizio di una svolta a livello continentale. Cioe’, la Merkel sarebbe piu’ sola nel rivendicare il rigore di bilancio a tutti i costi. Ma ovviamente, non e’ stata solo la questione olandese. Gli investitori, infatti, hanno ‘legato’ la notizia di Rutte al risultato del primo turno delle presidenziali francesi. Qui, a ben vedere, la vittoria finale del candidato socialista Francoise Hollande non e’ assolutamente scontata. E, tuttavia, la semplice probabilita’ del suo ingresso all’Eliseo ha dato il ‘la’ alle vendite. a un lato, gli operatori temono (a torto o a ragione) un approccio meno rigoroso sul piano fiscale e piu’ orientato su ricette, a loro dire ‘insostenibili’, di sostegno della crescita.
Dall’altro, c’è la preoccupazione che possa venire meno il legame con la Germania, coltivato (seppur a fasi alterne) dal Presidente a fine mandato Nicolas Sarkozy. Di sicuro, fino a ora, c’è solo la volontà di Hollande di rivedere il ‘Fiscal compact’".
Alla "strettoia (virtuosa) dell’austerity" nel Vecchio Continente e ai suoi riflessi sui mercati e nei rapporti tra Bce e Fmi dedica un retroscena Federico Fubini sul CORRIERE DELLA SERA. Al G20 "come a tanti altri dal 2010 in avanti, l’Europa era dall’inizio sul banco degli imputati.
Troppe esitazioni nel gestire la crisi, poi il ‘fiscal compact’ che impone un’austerita’ da molti giudicata eccessiva. E ora la Spagna, ultimo simbolo di come l’Europa ancora una volta si fosse solo illusa di aver vinto lo scetticismo dei mercati verso le sue promesse di rigore e crescita (quasi) simultanei. I disoccupati iberici al 23,6%, un mercato immobiliare gia’ deprezzato del 22% e con forse un altro 20% di caduta davanti, perdite non quantificabili nel sistema bancario, un’altra recessione in corso. E un deficit che, secondo Bruxelles, dovrebbe scendere dall’8,5% al 3% del Pil entro soli due anni. Nessuno all’Fmi ci crede. Tutti nell’istituzione di Washington pensano che l’Europa debba dare piu’ tempo ai Paesi in difficolta’ per risanare il bilancio, che la Bce debba aiutare di piu’ e che la Spagna debba chiedere al fondo salvataggi europeo di ricapitalizzare le sue banche. E’ su questo sfondo di tensione e accuse che Draghi ha preso la parola nei due incontri a porte chiuse dei giorni scorsi. Rivolto a Lagarde, il presidente della Bce ha dato una lettura opposta della nuova ondata di vendite che colpisce i titoli di Madrid e di Roma. Secondo Draghi, il nuovo acuirsi della crisi non e’ il frutto di un eccesso di austerita’ che produce recessione e dunque peggiora i saldi di bilancio; al contrario, ha detto il banchiere centrale italiano, il problema e’ che con il calo degli spread degli ultimi tre mesi e’ tornata ad allentarsi la disciplina delle riforme nei Paesi piu’ vulnerabili. Nessuno ha fatto nomi, ma non ce n’era bisogno: i Paesi nel mirino sono sugli schermi di tutti i trader. Alla cena del G20 Draghi ha anche riservato un affondo agli Stati Uniti. Ha ricordato che un fattore preoccupante dell’immediato futuro e’ il ‘fiscal cliff’, il ‘burrone di bilancio’ per cui nel 2013 rischiano di scattare tagli e tasse automatiche per seimila miliardi negli States: un enorme impatto recessivo per tutti, eppure l’Fmi non ne parla mai. Ma per il leader della Bce il punto politico sembra essere stato un altro, benche’ non l’abbia esplicitato. Perche’ l’Eurotower possa di nuovo impegnarsi a sostegno dei Paesi in crisi, ha bisogno che i loro governi stiano ai patti dell’austerita’ e delle riforme. Fino in fondo. Solo cosi’ la Bce avra’ lo spazio di manovra per nuove operazioni di liquidita’ straordinaria, senza rischiare una rottura al proprio interno con la Bundesbank e con la cancelliera Angela Merkel a Berlino. E’ per questo che una settimana fa Draghi, ricevendolo a Francoforte, ha chiesto al ministro di Madrid Luis de Guindos di non rimettere il ‘fiscal compact’ in discussione. Anche se l’economia spagnola e’ in caduta e senz’altro non in condizione di sopportare un tagli del deficit al 3% del Pil entro il 2013. Il ministro delle Finanze Guindos e il suo premier Mariano Rajoy si sono pero’ convinti che si possa seguire una linea diversa nei prossimi mesi, grazie alle svolte politiche in corso in Olanda e in Francia. I deficit, secondo loro, andrebbero stimati tenendo conto degli effetti recessivi: insomma niente tagli mentre la frenata e’ in corso. A Parigi e all’Aia il deficit e’ al 5% del Pil e entrambi i governi sono a un passo dal subire una procedura di Bruxelles per violazione del nuovo ‘fiscal compact’. Ma in entrambi sono aperte le stagioni elettorali, da cui potrebbero uscire maggioranze avverse all’austerita’ ad ogni costo. La Germania tra non molto potrebbe trovarsi un po’ piu’ sola. Nel mezzo c’e’ la Bce di Draghi, il cui aiuto sara’ presto di nuovo indispensabile. Perche’, ovviamente, ai mercati i ballettini politici d’Europa interessano ben poco".