L’Italia non aveva i conti in regola per entrare nell’euro e l’allora cancelliere tedesco Helmut Kohl ne era consapevole, ma per motivi di opportunità politica non si mise di traverso. Lo sostiene lo Spiegel in un articolo di cinque pagine dal titolo "Operazione autoinganno". Il settimanale tedesco ha avuto accesso a centinaia di pagine di documenti del governo Kohl sull’introduzione dell’euro tra il 1994 e il 1998. Si tratta di rapporti dell’ambasciata tedesca a Roma, di note interne dell’esecutivo e di verbali manoscritti di colloqui avuti dal cancelliere della riunificazione. "I documenti dimostrano ciò che finora si supponeva: l’Italia non avrebbe mai dovuto essere accolta nell’euro", scrive lo Spiegel, aggiungendo che a decidere sull’ingresso dell’Italia "non furono i criteri economici, ma le considerazioni politiche. In questo modo", denuncia il settimanale di Amburgo, "si creò il precedente per una decisione sbagliata ancora maggiore presa due anni dopo: l’ingresso nell’euro della Grecia". Per lo Spiegel il governo Kohl non può sostenere di essere stato all’oscuro della reale situazione italiana dell’epoca, poichè "era perfettamente informato sulla situazione di bilancio. Molte misure di risparmio erano solo cosmetiche, si basavano su trucchi contabili o vennero subito ritirale non appena venne meno la pressione politica", scrive il settimanale. "Fino al 1997 avanzato, al ministero delle Finanze non credevamo che l’Italia riuscisse a rispettare i criteri di convergenza", ha dichiarato al settimanale Klaus Regling, attuale responsabile del fondo salvastati Efsf e all’epoca capo dipartimento del ministero delle Finanze tedesco. Il 3 febbraio 1997 lo stesso ministero constatava che a Roma "importanti misure strutturali di risparmio sono venute quasi del tutto meno per garantire il consenso sociale". Il 22 aprile dello stesso anno in una nota per Kohl era scritto che "non ci sono quasi chance che l’Italia rispetti i criteri". Il 5 giugno il dipartimento di Economia della cancelleria comunicava che le previsioni di crescita dell’Italia apparivano "modeste" ed i progressi nel consolidamento delle finanze pubbliche "sopravvalutati". In preparazione di un vertice con una delegazione governativa italiana del 22 gennaio 1998 l’allora sottosegretario alle Finanze, Juergen Stark, constatava che in Italia "la durevolezza di solide finanze pubbliche non è ancora garantita". A metà marzo 1998 era Horst Koehler, allora presidente dell’Associazione delle Casse di Risparmio tedesche, a scrivere una lettera a Kohl, accompagnata da uno studio dell’Archivio dell’Economia mondiale di Amburgo, in cui era scritto che l’Italia non aveva rispettato le condizioni "per una durevole riduzione del deficit" e che pertanto costituiva "un rischio particolare" per l’euro. Lo Spiegel scrive che "Kohl rispose picche ai suoi consiglieri di allora", anche perche’, come afferma Joachim Bitterlich, allora consulente di Kohl per la politica estera, al vertice Ue di maggio 1998 "la parola d’ordine politica era: per favore non senza gli italiani". Il settimanale di Amburgo rileva che i documenti visionati "fanno sorgere il sospetto che sul problema Italia il governo Kohl abbia ingannato non solo l’opinione pubblica, ma anche il Bundesverfassungsgericht (la Corte Costituzionale di Karlsruhe, ndr)". Secondo lo storico Hans Woller, al momento di entrare nell’euro l’Italia era "sull’orlo della bancarotta finanziaria", mentre dai documenti visionati dallo ‘Spiegel’ risulta che nel corso del 1997 l’Italia propose per due volte di rinviare la partenza dell’euro, ma la Germania rifiutò. Bitterlich spiega che questa data era diventata "un tabu’" e che tutte le speranze tedesche erano riposte in Carlo Azeglio Ciampi, allora ministro del Tesoro nel governo Prodi. "Per tutti era come un garante dell’Italia, lui ce l’avrebbe fatta!", spiega Bitterlich, ma lo Spiegel scrive che "alla fine con una combinazione di trucchi e di circostanze fortunate gli italiani riuscirono sul piano formale a rispettare i criteri di Maastricht. Il Paese trasse vantaggio da tassi di interesse storicamente bassi, inoltre Ciampi si dimostrò un creativo giocoliere finanziario". Il settimanale cita in proposito l’introduzione della "tassa per l’Europa", la vendita delle riserve auree alla banca centrale e le tasse sugli utili, con il risultato che "il deficit di bilancio scese in misura corrispondente, anche se gli esperti statistici dell’Ue in seguito non accettarono questi trucchi". Ai primi del 1998 rappresentanti del governo olandese chiesero a Kohl un "colloquio confidenziale" alla Cancelleria, durante il quale chiesero di fare maggiori pressioni su Roma, poichè "senza ulteriori misure dell’Italia a conferma del durevole consolidamento, un ingresso dell’Italia nell’euro non è accettabile". Kohl respinse la proposta olandese, anche perchè il governo francese gli aveva fatto sapere che senza l’ingresso nell’euro dell’Italia, neanche la Francia sarebbe entrata, con il risultato che, come scrive lo ‘Spiegel’, "i tedeschi erano in una posizione di trattativa debole". La conclusione del lungo articolo è che riguardo all’Italia "molti sapevano che i numeri erano truccati e che un’autentica riduzione del debito era fuori discussione. Nessuno però osò trarne le conseguenze e Kohl si fidò delle melodiose dichiarazioni di Ciampi, che assicurava un ‘cammino virtuoso’, con il governo di Roma che prevedeva al più tardi per il 2010 la riduzione al 60% del debito pubblico. E’ andata diversamente".