Il peso del fisco sulle spalle degli italiani (persone fisiche) non è ai livelli di Svezia, Danimarca o Belgio, ma quest’anno è destinato a crescere di quasi due punti percentuali, passando dal 45,6% del 2011 al 47,3%, mentre l’Italia si conferma al primo posto della classifica europea per la pressione fiscale sul lavoro, con il 42,6%. Sono questi i dati principali emersi dal rapporto annuale di Eurostat sull’andamento della tassazione nell’Unione europea presentato oggi a Bruxelles. In generale, lo studio indica per i 27 una "stabilizzazione nel 2010 dell’aliquota fiscale generale, che si mantiene inferiore ai picchi", ha spiegato Marco Fantini, responsabile dell’unità di analisi economica della Dg Tassazione. "Tuttavia – ha sottolineato -, questo calo ‚ stato condizionato dall’impatto della crisi, che ha provocato un calo delle entrate". Per quanto riguarda l’Italia, l’aumento dell’aliquota sulle persone fisiche previsto per il 2012 al 47,3% giunge dopo un lungo periodo di stabilità (dal 45,9% del 2000 al 45,6% del 2011) e piazza il nostro Paese all’ottavo posto della classifica Ue. Questa vede in testa la Svezia, la Danimarca e il Belgio rispettivamente con il 56,6%, il 55,4% e il 53,7%. A livello Ue-27, sottolinea Eurostat, la media prevista è del 38,1% (contro il 37,5% nel 2011), mentre in Eurolandia è del 43,2% (42,2%). La pressione fiscale sulle aziende italiane, invece, è destinata a rimanere ferma – al 31,4% – nel 2012 rispetto al 2011 (era al 41,3% nel 2000), mentre l’Italia conferma intanto il proprio primato in fatto di pressione fiscale sul lavoro, con un’aliquota ‘implicita’ – ovvero tasse e oneri sociali – del 42,6% nel 2020, rispetto al 42,3% del 2009 (era al 41,8% nel 2000). Qui la media Ue-27 è del 33,4% e quella Ue-17 è del 34%. Solo un altro Paese tra i 27 supera il 42% – il Belgio, al 42,5% – seguito da Francia (41%), Austria (40,5%) e Ungheria (39,4%). "Il tasso medio di imposizione sul lavoro (in Italia), indiscutibilmente è elevato", ha commentato Fantini. Il fatto che il dato include anche i contributi sociali, ha spiegato, "‚ importante, perch‚ i contributi pesano anche piú dell’Irpef, cio‚ delle tasse in senso stretto, sul costo del lavoro… I contributi sociali in Italia sono abbastanza elevati e io credo che sia questo il motivo principale" per l’elevato tasso di pressione fiscale sul lavoro nel Paese.
"In linea generale un’imposizione elevata sul lavoro riduce i redditi da lavoro delle persone e puó avere un impatto negativo sull’occupazione, particolarmente quando l’imposizione poi finisce per essere concentrata a dei livelli piú bassi di reddito", ha proseguito Fantini. "I dati che abbiamo confermano che effettivamente in Italia il carico fiscale tende a essere particolarmente elevato sulle persone e direi anche sulle imprese, mentre sui consumi il livello di imposizione in Italia è piú basso – ha concluso l’esperto -. Constatiamo che le ultime misure del governo sono andate effettivamente nella direzione di aumentare piuttosto le imposte sul consumo e cercare perlomeno in maniera puntuale di alleggerire il carico fiscale sul lavoro, particolarmente per le categorie piú deboli". A confermare il record negativo dell’Italia è la Cgia di Mestre, che ha misurato l’incidenza delle tasse e dei contributi previdenziali sullo stipendio medio di un operaio e di un impiegato. Il risultato è che in pratica il prelievo fiscale supera della metà gli stipendi e i salari lordi degli italiani.