DUE DONNE APPASSIONATE DI DIO

Benedetto XVI in una catechesi di qualche anno fa, ha ricordato che la Chiesa esce dalle crisi grazie alla santità. Nella Storia del Cristianesimo possiamo vedere che “sono i santi, guidati dalla luce di Dio, gli autentici riformatori della vita della Chiesa e della società. Maestri con la parola e testimoni con l’esempio”. Del resto anche Paolo VI era convinto che gli uomini del nostro tempo “sono disposti ad ascoltare i maestri nella misura in cui sono testimoni. Le persone guardano i cristiani, osservano i loro comportamenti e ascoltano le loro proposte soltanto se provengono da una vita coerente”. Queste parole si possono attribuire alla vita di due donne, una spagnola e l’altra italiana: Montserrat Grases e Maria Biffi Levati. In questi giorni roventi di luglio ho letto due biografie pubblicate dalle Edizioni Ares di Milano.
Per la prima, ho letto un agile libretto di poche pagine (73) di monsignor Flavio Capucci, Sono felice, Montserrat Grases. Una ragazza verso gli altari.(2012). Montse era di Barcellona, visse fino all’età di 17 anni, è morta il 26 marzo 1959. Una ragazza intelligente con un gran senso dell’umorismo. Sempre contenta, allegra, sprizzava vita e salute. L’apostolato fu uno degli aspetti della vita cristiana che l’attraeva maggiormente e in cui si impegnava di più. Una delle gioie maggiori che Montse ha avuto nella sua vita fu quella di sapere che il fratello Enrique voleva diventare sacerdote. L’abbandonarsi totalmente a Dio ha determinato la svolta decisiva di entrare nell’Opus Dei. Ma ben presto venne colpita da una grave malattia alla gamba, il sarcoma di Ewing. In pochi mesi di vita, Montse si spegne lentamente tra atroci dolori. La giovane ragazza spagnola affronta la malattia con grande serenità, senza fare drammi, anzi il suo abbandono a Dio, non gli faceva mai pensare alla malattia. Il testo di monsignor Flavio Capucci fa intravedere una forte personalità spirituale della giovane ragazza. Le sue pratiche di pietà non avevano mai una impostazione devozionalistica riduttiva, il tutto mirava sempre al progresso delle virtù cristiane fondamentali, quali la carità, l’umiltà, la fede, la santa purezza, la generosità. Nei suoi quadernetti alla precisa domanda: come si fa a diventare santi? Si può leggere: Lottando per fare bene, con amore, le piccole cose che costituiscono la trama delle nostre giornate. In pratica compiere con amore i propri doveri di stato, verso Dio e verso gli altri. Ogni sera Montse considerava tutta la sua giornata per vedere quali erano i difetti da evitare e la ragazza notava che tutti i giorni c’era qualcosa da modificare, nonostante lei si impegnasse a fondo. La santità, come diceva San Josemaria, “è lotta: cerchiamoci di non ingannarci:se nella nostra vita costatiamo pure momenti di slancio e di vittoria, costatiamo pure momenti di decadimento e di sconfitta. Tale è stato sempre il pellegrinaggio terreno dei cristiani, non esclusi quelli che veneriamo sugli altari(…). Non ho mai apprezzato quelle biografie che ci presentano – con ingenuità, ma anche con carenza di dottrina – le imprese dei santi come se essi fossero stati confermati in grazia fin dal seno materno”. Continua il fondatore dell’Opus Dei, “Non è così. Le vere biografie degli eroi della fede sono come la nostra storia personale: lottavano e vincevano, lottavano e perdevano; in tal caso , contriti, tornavano alla lotta”. Per concludere, la nostra vita interiore dev’essere: cominciare e ricominciare. Del resto “la conversione è cosa di un istante; la santificazione è opera di tutta la vita”. Per la presentazione di Maria Biffi Levati, fondatrice delle Misericordine, alla prossima puntata. 

DOMENICO BONVEGNA