In una giornata che ha visto l’Italia vincere tre medaglie (un oro, un argento e un bronzo) la brutta notizia è arrivata nel tardo pomeriggio: Alex Schwazer, olimpionico di Pechino nella 50 km di marcia e speranza azzurra di vittoria per un’atletica in grande difficoltà, è stato trovato positivo all’epo. Racconta su Repubblica Emanuela Audisio: "Era il bravo ragazzo dell’atletica italiana. Biondo, magro, antico. Faceva il marciatore, consumava fatica: 35 chilometri al giorno, 10 mila km l’anno, 1.050 solo in un mese. In tre stagioni il giro della terra. Quasi sempre da solo. Alex Schwazer sembrava uscito da una fiaba: veniva da Calice, 31 abitanti, piccola frazione di Racines ai piedi del passo Giovo, provincia di Bolzano. Nato il giorno della vigilia di Natale. Atleta serio, ossessivo, disciplinato. Al limite del masochismo. Bisognava fermarlo, impedirgli di farsi male, di torturarsi con l’allenamento. Non voleva mai smettere, anzi ne chiedeva di più. Potevi scambiarlo per Bambi, aveva lo stesso candore. Mai per un mascalzone. Si dava addosso, ipercritico, non si perdonava mai nulla. Ti raccontava che da ragazzo voleva fare il ciclista, ma che gli avevano proposto pratiche illegali. ‘Cosi’ ho cambiato sport’. Era andato a Saluzzo ad allenarsi con Sandro Damilano. A Pechino quattro anni fa la sua marcia trionfale nella 50 chilometri. Tutto il rettilineo da solo, piangendo lacrime e felicita’. Campione olimpico a 24 anni. Unico oro dell’atletica azzurra. Era gia’ fidanzato con Carolina Kostner, pattinatrice, conosciuta a Torino nel 2006, ma i due con molta discrezione avevano tenuto la relazione nascosta. Una bella coppia d’oro. Che si parlava in tedesco. E che si nascondeva tra il pubblico se gareggiava l’altro. (à) Poca vita in comune: lei sempre impegnata in Germania o in trasferta, lui ad allenarsi in altura o sulle strade in montagna. Entrambi giravano il mondo, ma lui se lo faceva a piedi. Su Alex, un’atletica senza altri campioni, I’Italia contava molto. Schwazer era il presente e il futuro, un modello pulito da ammirare, una medaglia sicura. Soprattutto per tenacia e passione. Bello stile, corretto, molta resistenza. C’erano stati strani segnali: una mezza banana mangiata ai mondiali di Berlino nel 2009 che gli aveva gonfiato la pancia e lo aveva costretto al ritiro. Ma si mormoro’ anche: una pancreatite dovuta al doping. E poi una tragica crisi di motivazione agli europei di Barcellona nel 2010. Qualcosa si era rotto. (à)L’anno scorso a lui era tornata la voglia per la strada. O almeno così diceva. ‘Ho fisicamente bisogno di fare sport, altrimenti non ho fame a tavola nè sonno di sera’. Aveva trovato in Michele Didoni, un allenatore amico, si divertiva a non stare piu’ solo, si appoggiava alla Dds di Settimo Milanese, ma con molta probabilità le sue nuove cattive abitudini avevano un’altra geografia. Altri segreti, altre vene (epo), altri stregoni. Non può aver fatto tutto da solo. Era andato fortissimo nella 20 km, si era qualificato per la 50. Diceva che aveva imparato a perdonarsi (forse troppo) e che voleva difendere il suo titolo a Londra. Chi l’ha aiutato a doparsi? Chi ha sfruttato le sue debolezze? Chi l’ha convinto a barare? Ha ammesso: ‘Volevo vincere’. A 28 anni da’ l’addio da bandito. E macchia anche i successi precedenti. Come fidarsi del passato? Un masochista responsabile, ora un sadico. Lasciato solo e marcio sulla strada sbagliata".
Vittorio Zucconi, sempre su REPUBBLICA, racconta "il lato buio dello sport" in un excursus di casi di doping olimpici. "E’ come se si illuminasse di colpo il lato oscuro della Luna, come si voltasse verso di noi la faccia buia dello sport che preferiamo non vedere. La notizia che il grande marciatore italiano Alex Schwazer – l’ultima e unica speranza di medaglie per la desolata atletica italiana – e’ stato cacciato dall’Olimpiade perche’ dopato confesso e’ una sorpresa amarissima. Ma soltanto una brutta conferma per chi sospetta che lunga sia l’ombra dietro la luce. Se un lumicino positivo ci puo’ essere, nella malinconia di questa scoperta, e’ che ci risparmia almeno l’umiliazione orribile di vederlo prima vincere e poi squalificare. (à) Ma non c’e’ nulla di nuovo sul fronte dei cinque cerchi. Ad Atene, otto anni or sono, erano stati 28, un record, i partecipanti trasformati in flaconi viventi di ormoni, diuretici, stimolanti della respirazione, betabloccanti e antinfiammatori. Persino un povero cavallo della squadra irlandese, chiamato Cristallo di Waterford, fu dopato con un medicinale antipsicotico, perche’ troppo balzano. (à) Il primo caso accertato di doping risale addirittura al 1904, Terza Olimpiade a St. Louis, Missouri, quando il vincitore della maratona, Tomas Hicks di Cambridge usò temerariamente la stricnina come stimolante. Ha detto domenica scorsa al New York Times il professor Charles Yesalis della Penn State University, considerato un’autorità in materia: ‘Guardo le Olimpiadi con passione e gioia, pur sapendo benissimo che cosa ci sia dietro il sipario’. Certamente sono lontani i tempi della brutalita’ di lanciatrici sovietiche visibilmente più maschi che femmine anche all’esame più superficiale o gli anni della crudeltà nazi-stalinista dei tecnici della Ddr che portarono la pesista Adreas Kreger, a un intervento chirurgico non voluto per il cambio del sesso dopo le enormi quantita’ di ormoni maschili. Onore ai puri e ai veri. Ma in questo preciso momento, in qualche laboratorio del mondo o sulla faccia oscura della Luna, qualcuno sta gia’ sperimentando la molecola del futuro per ottenere quello che il presidente di una squadra di football americano, Al Davus sintetizzava benissimo: ‘Just win, baby’".