Alta tensione Bersani-Casini, intesa resta lontana

La situazione è "tristemente stazionaria". E’ fosco il quadro che il presidente della commissione Affari Costituzionali del Senato, Carlo Vizzini, fa dello stato dell’arte sulla riforma elettorale. D’altronde il clima intorno alla trattativa sulla legge che dovrebbe archiviare il famigerato Porcellum non è mai stato così incandescente se i due partiti della maggioranza – Pd e Udc – fino a qualche tempo fa più dialoganti oggi appaiono ai ferri corti. Non solo per le diverse opinioni sul sistema di voto ma anche e soprattutto per le contrapposte idee sul futuro politico del paese.

Dopo l’avvertimento del segretario dei democratici ieri sera da Mestre ("Chi pensa a un sistema seccamente proporzionale dovrà vedersela con noi"), è stato Casini questa mattina a convocare una conferenza stampa per mettere in chiaro che l’Udc non ha intenzione di cedere sulle preferenze, che non si tratta di fare blitz o accordi segreti col Pdl ma di "non rinnegare ciò che abbiamo sempre sostenuto, cioè che il modello tedesco è il nostro modello ideale e che le preferenze sono fondamentali per restituire ai cittadini la possibilità di scegliere i parlamentari". Tuttavia, siccome "un’intesa va trovata per portare la riforma in Aula entro ottobre" il leader Udc fa sapere che si può trattare sul premio di maggioranza alla coalizione (tanto caro al Pd) invece che al partito.

Bersani non raccoglie l’apertura dei centristi: "Devono stare attenti a quello che pensano. Il Paese va governato, noi non scherziamo". Parole cui risponde prima Mauro Libè, uomo di Casini in commissione Affari costituzioanli alla Camera spiegando che "anche l’Udc vuole dare un governo serio al Paese per non ripetere le tristi esperienze di Prodi e Berlusconi" e che "per questo ci vuole una legge elettorale che non serva solamente a vincere, ma principalmente a governare, evitando di mettere insieme chi ha votato ogni provvedimento del governo Monti con chi lo ha avversato duramente e con ogni mezzo". Leggi Pd e Sel.
Poi arriva la risposta di Casini con un lapidario twitter: "Caro Bersani, qui nessuno ha voglia di scherzare".

Sul fronte parlamentare si muove il presidente del Senato, Renato Schifani, che domani sentirà Vizzini e martedì prossimo in conferenza dei capigruppo porterà una proposta di calendario sulla riforma. Un atteggiamento che in casa Pd viene letto più prudente rispetto all’ultimatum lanciato dalla seconda carica dello Stato la scorsa settimana sui tempi della riforma ("O c’è un’intesa, o si va in Aula"), ultimatum che aveva fatto temere ai democratici un blitz di Pdl, Lega e Udc su una legge proporzionale con le preferenze. Anna Finocchiaro lo teme ancora, "lo temo da tre mesi", dice. Un’approvazione a maggioranza della riforma però non sarebbe vista di buon occhio dal Colle.

Come ricordano al Quirinale, infatti, il 9 luglio scorso, nella lettera in cui sollecitava i Presidenti delle Camere a favorire l’avvio della riforma, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano aveva parlato di voto a maggioranza su alcuni aspetti secondari e quindi dopo un accordo sull’intelaiatura complessiva della riforma. Che è cosa ben diversa dalla linea di scontro frontale come quella che paventa qualcuno adesso.

Di certo il plauso con cui il Pdl ha accolto la mossa di Casini stamattina non allontana lo spettro del blitz: "Bene Casini sulle preferenze. Andiamo avanti sulla legge elettorale", scrive su twitter Maurizio Gasparri. Ma, spiegano i centristi, l’apertura sul premio alla coalizione non è osteggiata dal partito di Silvio Berlusconi a patto che sia minimo, il 10, massimo il 12%.