E’ iniziato il percorso parlamentare per l’esame del disegno di legge sulla DELEGA FISCALE approvato dal Consiglio dei Ministri il 16 aprile 2012. L’esame ha preso avvio a Montecitorio(Atto Camera n.5291). Il corposo disegno di legge presenta tre sostanziali aspetti:
a) maggiore certezza del sistema tributario e miglioramento dei rapporti fisco/contribuenti; – lotta all’evasione ed elusione; – controllo dell’erosione;
Riforma del Catasto.
b) abuso del diritto applicabile a tutti i tributi;
c) tassazione dei redditi prodotti dalle imprese commerciali e dai lavoratori autonomi con assoggettamento a unica imposta.
Gli obiettivi che si propone il disegno di legge sono di chiara eccellenza e parimenti ambiziosi. Non facile ne appare la realizzazione.
Il 6 giugno 2012 si è svolto un cenacolo cui hanno partecipato la prof.ssa Fabrizia Lapecorella, direttore generale delle Finanze, i parlamentari Maurizio Leo e Alberto Fluvi, nelle rispettive qualità di Presidente della Commissione Parlamentare di vigilanza sull’Anagrafe Tributaria e di componente della VI Commissione Finanze,Benedetto Santacroce dell’Università Cusano di Roma- avvocato. Gli intervenuti condividono sostanzialmente gli obiettivi del disegno di legge governativo e auspicano che il doppio passaggio parlamentare avvenga in tempi ragionevolmente brevi al fine che i successivi decreti delegati possano venire a luce entro la scadenza della legislatura. L’auspicio ci sta tutto, perché con l’aria che tira il dibattito parlamentare si preannuncia tutt’altro che scorrevole. Ma non tanto questo è il punto,quanto invece appare non prevedibile l’impatto che avrà la riforma in sede di attuazione, ovvero non si può essere certi che l’A.F. sarà in grado di gestire il nuovo corso e che il cittadino-contribuente voglia predisporsi ad un radicale mutamento comportamentale nei confronti del fisco.
Non vi è dubbio che il sistema fiscale per essere efficace deve avere il requisito della certezza. E qui il discorso si complica già all’inizio. L’attuale sistema tributario affoga in un mare di leggi e leggine stratificate nel tempo in termini di parecchi decenni.
Non c’è una norma che non ne richiami una serie di precedenti, talora ampliandole, tal’altra apportando modificazioni così che fattispecie precedentemente escluse possano rientrare nella nuova disciplina. Ne deriva quanto meno il contenzioso, quando l’astrattezza della norma va a impattare con i casi concreti. A proposito di contenzioso è bene ricordare che l’ A.F. è ancora impegnata a smaltire miriadi di vertenze rivenienti addirittura dal secolo scorso nel quale talune leggi di favore furono fatte invecchiare a mo’ di vini pregiati. Una per tutte va ricordata la legge Tupini sull’edilizia economica e popolare che nata nell’anno 1949 cessò di vivere nell’anno 1985 quando gli uffici, le Commissioni Tributarie, e finanche la Cassazione, erano già stati sommersi da un contenzioso immane ed il Catasto era stato stravolto. Né va dimenticato che cosa è accaduto in tema di imposta di registro.
Questo tributo fino al 31.12.1972 incideva sui trasferimenti immobiliari in base al criterio del valore venale in comune commercio dei beni trasferiti,attraendo cioè a tassazione la differenza tra il valore dichiarato e quello definitivamente accertato. Ma dal 1.1.1973 le cose cambiarono con l’introduzione nel nostro sistema tributario dell’imposta sul valore aggiunto che come è noto incide sui corrispettivi e non sui valori. Per ciò stesso, i trasferimenti immobiliari posti in essere nell’esercizio di attività di impresa uscirono dal campo di applicazione dell’imposta di registro ed entrarono in regime iva. La gran massa di fatture emesse a fronte di cessioni di immobili esponevano corrispettivi a dir poco risibili, e quindi in barba sia all’imposta di registro, ma anche all’iva che, in quanto tributo
cartolare, prevede che i controlli avvengano in sede di verifiche aziendali, ovvero attraverso l’esame delle scritture contabili. Ma per almeno un decennio gli Uffici IVA si e no erano in grado di gestire l’ordinario, mentre i contribuenti, grazie al sistema della detrazione dell’iva pagata a monte, divennero tutti creditori dello Stato, in pratica non versando mai uno spicciolo di tributo. La gens italica è maestra nel menare il quotidiano anche con maliziosi espedienti, e in questo caso i contribuenti trasformarono in conto corrente bancario crediti iva inventati. Non se ne avvide invece l’Erario, e per accorgersene impiegò quasi un ventennio quando adottò il rimedio che i corrispettivi dei trasferimenti immobiliari non potevano essere inferiori al valore della rendita catastale. Fu una insignificante aggiustatura che ignorò in toto la stratificata infedeltà del catasto. A questo riguardo, nella audizione del 13.9.2012 dinanzi alla VI Commissione Finanze,il Direttore dell’Agenzia del Territorio ha riferito che pur in presenza di sostanziosi recuperi conseguiti è ancora tanto il lavoro a farsi per riassestare il catasto per cui si capisce bene che non basta che passi la Delega Fiscale e neppure basteranno i successivi decreti delegati se non diventeranno incisive le azioni poste in essere dagli uffici. Nel suo intervento il Direttore dell’Agenzia incede fornendo una puntuale esegesi della normativa catastale che potrebbe sembrare pleonastica, ma così non è, perché il richiamo alla legge istitutiva non è stato casuale ed è servito invece per ricordare che la prima revisione del sistema catastale è avvenuta nel 1990, e cioè a 50 anni di distanza dall’originario assetto normativo. Il che fa capire con estrema chiarezza che il Direttore dell’Agenzia è ben consapevole che i guasti accumulati in mezzo secolo non possono essere riparati con un tocco magico e serve invece un imponente impiego di risorse umane ed economiche. Ogni sforzo rischia però l’insuccesso se non cambia il modus operandi. Vediamone qualche aspetto. Il cosi detto boom economico del secolo scorso(anni 50/60) è vero che contribuì in modo decisivo a realizzare quello che giustamente fu definito il “miracolo economico”, ma è anche vero che è proprio da quell’epoca che parte lo stravolgimento del catasto urbano. L’edilizia economica e popolare produsse miriadi di case di abitazione, specialmente nelle grandi città, ma non tutti quei complessi edilizi avevano i requisiti di legge, eppure tutti trovarono collocazione nella categoria catastale A/2. Fu emanato allora il DM 2.8.1969, ma era già tardi e nulla o quasi cambiò. Ora, se proprio vogliamo finalmente realizzare la equità,cominciamo col dire che non è giusto che un immobile ubicato in zona residenziale ed un altro situato in zona popolare, se non addirittura degradata, ancorchè a parità di superficie,possano avere rendita catastale di pari valore. Questo sconcio dura da decenni e qualche correttivo posto in essere non certamente è stato risolutore. Il Direttore dell’Agenzia ravvisa pure una carenza della Delega Fiscale che a suo dire affronta la riforma del sistema estimativo, ma non quella del catasto. Il rilievo è fondato,ma non basta argomentare se poi non si apprestano rimedi efficaci. Diciamo che il controllo degli atti catastali richiede una maggiore presenza sul territorio, ma ovviamente bisogna fare i conti con la capacità operativa degli uffici che certamente è impari rispetto alla mole di lavoro da svolgere. E’ evidente però che intensificare le verifiche con accesso produrrebbe significativi risultati ,anche in termini di efficace deterrente. Ma i controlli con accesso, sia mirati che conseguenti alla esibizione di atti catastali sospettati di infedeltà, andrebbero gestiti con diverso metodo.
Sarebbe cioè necessario che l’esito del controllo in loco risultasse da apposito p.v. di constatazione sottoscritto dal verificatore,dalla parte e dal suo tecnico di fiducia, se presente. Un tale metodo non solo dà certezza al controllo,quanto pure, con la consegna del p.v. alla parte, va a compiersi la notifica, ed è poi probabile che si eviti anche un successivo contenzioso. Ma la trasparenza e la certezza si realizzano soprattutto con il coinvolgimento dei tecnici esterni. Coinvolgere i professionisti significa addossare loro la responsabilità degli atti prodotti, in solido con le parti interessate. Come è noto, con il DM 701/94 è stata introdotta la procedura informatizzata DOCFA che ha instaurato un rapporto fiduciario con gli utenti,nel senso che sono loro a proporre la rendita catastale. Se però al controllo emerge che è stata tradita la fiducia, non basta una semplice penalità, ma deve scattare una pesante sanzione, e nei casi più gravi finanche la denuncia penale, sia nei confronti dell’utente che dei tecnici che hanno sottoscritto gli atti. Non serve quindi una legge per porre in essere azioni di questo tipo che rientrano nella struttura organizzativa degli uffici, poi ben venga la Delega Fiscale che però non sarà un toccasana se permanessero condizioni di incertezza e di scarsa incisività.
Il giorno 11.9.2012 è intervenuto dinanzi alla Commissione Finanze della Camera dei deputati anche il Direttore dell’Agenzia delle Entrate ed ha svolto una relazione sulla Delega Fiscale. Non è facile darne un commento. Non è facile,salvo che per dire che circolano troppe idee, si promette di fare tanto, ma si rischia il flop se ci si illude che la Delega Fiscale sia la panacea delle tante criticità esistenti, cioè è quasi una presunzione esposta purtroppo alla prova contraria. Nella sua relazione
il Direttore dell’Agenzia esprime l’aspettativa che la Delega Fiscale possa costruire un “rapporto leale e sereno” tra Fisco e contribuenti. Il tono è così conciliante che sembra quasi che sia il Fisco a dover andare incontro ai contribuenti, magari facendosi perdonare qualcosa. Sembra che la scandalosa evasione fiscale sia una invenzione della Corte dei Conti. Non si è sentito dire che l’80% del carico tributario grava sul lavoro dipendente,cioè su gente che detiene il 30% della ricchezza,e che il 93% dell’irpef è spillato da lavoratori e pensionati. Ecco, è con queste persone che il Fisco deve scusarsi, mostrando le gote rosse di vergogna.
Per il resto la relazione del Direttore dell’Agenzia si sofferma sui tecnicismi contenuti nella Delega dei quali sarebbe impropria ogni anticipazione, ma se ne potrà parlare se e quando la Delega Fiscale sarà tradotta in legge, e più ancora quando saranno emanati i decreti delegati.
Non si nega che dai primordi dell’iva,e comunque dalla riforma tributaria del 1973, un certo recupero c’è stato, ma sono pure trascorsi quarant’anni e ciò che s’è fatto è poco,
anzi pochissimo. Ora che il Paese è al redde rationem in termini di tenuta, suona un cupo allarme e nessuno può pensare che il cessato pericolo venga per dono celeste.
Ogni fenomeno ha sempre una o più cause che lo hanno generato, il che vuol dire che è illusorio curare gli effetti se non si eliminano le cause. Questo non avviene in fatto di evasione ed elusione e quindi si finisce per parlarne soltanto in termini di cifre .
Evadere le tasse è nella natura di ogni contribuente. Se potessero, lo farebbero anche I percettori di reddito fisso. Altra cosa è l’elusione che si realizza soltanto sfruttando abilmente altre leggi. Allora non può accadere che quando si legifera ci si distragga o che si scrivano leggi in funzione del consenso elettorale. La certezza del sistema tributario passa attraverso il comportamento intransigente che l’Autorità costituita deve dare a se stessa per pretendere poi che i contribuenti osservino le leggi.
Il disegno di legge in discussione si propone di istituire un regime premiale per gli operatori economici che praticano la fedeltà fiscale. E’ una buona idea, ma il percorso per realizzarla è più che difficile. Certo, è giusto premiare gli onesti per affrancarli dal pagamento di un conto salatissimo, ma prima vanno dispersi i disonesti. Basta per esempio con i condoni e le sanatorie che incoraggiano la infedeltà fiscale e producono pure smisurate sacche di contenzioso.
Ben venga pure la ridefinizione del sistema sanzionatorio penale che tenga conto della gravità dei comportamenti, sempre che se ne faccia poi rigida applicazione e non si crei soltanto uno spauracchio, come è già accaduto con la legge 516 del lontano 1982, minacciosa solo nel titolo (manette agli evasori), ma che poi si risolse in un inutile ingolfamento degli uffici giudiziari, sommersi da carte inutili o inutilizzabili. Va pure rivisto il sistema sanzionatorio pecuniario che deve riguardare sempre e soltanto gli errori veniali commessi non con intenti fraudolenti.
Ma qui si affaccia un aspetto importante, ed è il rapporto tra il contribuente ed Il suo fiscalista e quindi il comportamento di entrambi verso il Fisco.
Servirebbe un salto di qualità, servirebbe guadagnare l’idea che non può essere Il cittadino-contribuente il solo responsabile nei confronti del fisco, ma dovrebbe tenergli compagnia il suo consulente,pagato per assisterlo. C’è un solo modo per farlo ed è quello di rendere coobbligati il contribuente ed il suo fiscalista.
Si introdurrebbe così un principio di equità e di trasparenza utile a creare tra il contribuente ed il suo assistente fiscale un rapporto simbiotico nella gestione aziendale, entrambi avendo tutto l’interesse a non rimetterci le penne. Altrove si fa così, ma dalle nostre parti un salto di qualità come questo, o come il conflitto di interesse tra il cedente e l’utilizzatore finale di beni e servizi,
è aborrito prendendo a pretesto che lo Stato scadrebbe alla stregua degli Stati di polizia. Non è così, perché coinvolgimenti di questo tipo alleggerirebbero di almeno la metà l’immane lavoro della macchina fiscale. Ma allora si fa fatica a capire in che modo si può raggiungere la certezza del sistema tributario, e si capisce invece benissimo come, pure in condizioni difficilissime, e però con l’impiego di imponenti risorse umane ed economiche, sono state scoperte un milione di unità immobiliari sconosciute al sistema e di sicuro ne esisterà ancora una cifra altissima.
Si evade l’iva, si occultano i redditi, il Catasto è malmesso, si esportano illecitamente Ingenti capitali all’estero e per farli rientrare si chiede un mortificante obolo risarcitorio, la corruzione è divenuta un cancro, suvvia, guardiamo in faccia alla realtà e prendiamo atto che non è più tempo di annunciare rivoluzioni copernicane rese solenni da inopportuni inglesismi che sono offensivi per la nostra lingua, tanto ricca di vocaboli da non avere bisogno di andare a spendere in altri Paesi dove però ogni comportamento illegale viene esemplarmente punito, perché altrove è questa la concezione dello Stato di diritto.
Per ora non resta che attendere l’esito del doppio passaggio parlamentare per sapere se la Delega Fiscale passerà così com’è (improbabile), o se sarà emendata, e come, sempre che non si areni in uno dei due rami del Parlamento ove se ne ravvisasse la opportunità di un rinvio alla prossima legislatura. Il che non sarebbe poi un clamoroso “fuor di luogo” perché è impensabile un sistema tributario fondato sulla certezza in un contesto sociale nel quale la P.A. sta affogando nella corruzione. Ma come si sa,almeno in questo scorcio di legislatura è vietato parlare di leggi anticorruzione,salvo che non intervenga un volgare baratto con le intercettazioni telefoniche. Il Governo è quasi al termine del suo mandato e allora scopra le carte e le faccia scoprire al Parlamento. Se non può o non vuole farlo, tanto vale che di argomenti vitali non si parli, non si scriva e non si dibatta. Almeno evitiamo di coprirci di ridicolo.
IL VICE SEGRETARIO GENERALE
Pietro Paolo Boiano