Al voto in primavera in un unico election day, con una nuova legge elettorale che non preveda nessun famigerato "listino" e nessun voto della ‘ndrangheta. E i consiglieri rinviati a giudizio tutti a casa. La decisione della Lega, presa al termine di un ampio dibattito nel Consiglio federale, ha demolito l’accordo raggiunto due giorni fa a Roma tra Maroni, Alfano e Formigoni e rimesso il pallino del destino della Giunta lombarda in mano al Pdl. Per tutto il pomeriggio, Formigoni ha protestato contro il cambio di rotta: "Soltanto 48 ore fa il Pdl ha firmato con la Lega l’accordo che abbiamo illustrato insieme in conferenza stampa. Se la Lega avesse cambiato idea, immagino – ha sottolineato – che Maroni ce lo spiegherà, ce lo farà sapere, ce ne dirà le ragioni e ragioneremo insieme oppure il Pdl assumerà le sue scelte".
Poi, sono volate le minacce sul punto considerato debole per la Lega: andare subito al voto. Prima Ignazio La Russa: "Se c’è una condizione così incerta, meglio andare a votare subito"; poi, meno esplicitamente, lo stesso Formigoni: se la Lega insiste con un appoggio a tempo, "sarebbe mio dovere istituzionale fare in modo che il periodo di incertezza duri il meno possibile". Eventualità che, nelle intenzioni del pdl, dovrebbe suonare in via Bellerio come una campanello d’allarme, essendo diffusa la convinzione che per la Lega, andare al voto in questo nell’immediato, isolata e in fase di transizione, la Lega "non andrebbe da nessuna parte.