I timori dell’Eurispes su crisi economica e tenuta sociale

Negli ultimi 5 anni, tra il 2007 e il 2012, la ricchezza complessiva del Paese è crollata del 6,7%, mentre il debito pubblico, già particolarmente elevato, è cresciuto di altri 23 punti percentuali, passando da 103%, nel 2007 a 126% nel 2012, stando alle recenti stime del FMI.
La stessa Banca d’Italia, nell’ultimo bollettino, ricorda che il rallentamento dell’economia mondiale sta interessando non più solamente i paesi avanzati, ma anche le economie emergenti, unico vero traino della domanda mondiale in questi anni di crisi. E quello che più preoccupa è che la crisi del debito sovrano nell’eurozona, sta cominciando ad avere effetti anche sulle economie tradizionalmente più forti, come Francia e Germania. Un quadro economico inedito e allarmante che ha avuto – e sta avendo –, ricadute severe sul nostro tessuto produttivo, sia in termini di crollo della produzione industriale sia in riferimento ai livelli occupazionali sia, in ultimo, sui consumi interni. Nel primo caso, fatta 100 la produzione industriale nel 2007, il valore nel 2011 è crollato di quasi 17 punti percentuali, mentre sul versante del mercato del lavoro il tasso di disoccupazione è passato dal 6,1% nel 2007 all’8,9% nel 2011.
In realtà, la stessa Banca Centrale Europea mette in guardia dal rischio che in Italia il tasso di disoccupazione possa essere sottostimato; da Francoforte certificano che, includendo anche i lavoratori scoraggiati (tutti quei soggetti che il lavoro hanno perfino smesso di cercarlo), il tasso reale di disoccupazione nel nostro Paese è pari al 12,5%, 4 punti in più rispetto ai dati ufficiali.
Insomma, è possibile sostenere che, a causa della crisi economica, i disoccupati in Italia sono raddoppiati. Eppure, proprio secondo quanto dichiarato da Mario Draghi, Presidente della BCE, si cominciano a vedere «cauti segnali di ripresa», anche se per molti, al massimo, si faticherà ad arrestare la caduta. La stessa Banca d’Italia prevede per il nostro Paese un Pil negativo anche il prossimo anno. Tra il decreto Salva-Italia, il Fiscal compact e la nuova Legge di stabilità, infatti, appare abbastanza difficile che il 2013 – come anche il 2014 –, possa essere l’anno della ripresa economica. Nel caso del “Salva-Italia”, il primo decreto dell’era Monti, è importante ricordare che dei 77 decreti attuativi ne sono stati approvati solo 22; questo lascia supporre che il grosso delle misure contenute nel provvedimento avrà effetti nei prossimi anni.
Il Fiscal Compact, di cui perfino in Parlamento si è discusso troppo poco, contiene misure talmente severe da incidere profondamente sulle politiche economiche che i prossimi governi si troveranno ad attuare; nei prossimi vent’anni, infatti, il nostro Paese si è impegnato a rientrare del proprio debito monstre: dal 2014 i paesi con un debito superiore al 60% del Pil, dovranno ridurre di 1/20 l’anno la quota eccedente.
Tuttavia, quello che più preoccupa sono le macerie che la crisi economica rischia di lasciare dopo il suo passaggio, in Europa e nel nostro Paese. Infatti, è ormai sotto gli occhi di tutti che le nuove geografie del mondo non somiglieranno più a quelle pre-crisi e nel caso dell’Italia c’è, in aggiunta, una variabile che agita osservatori e analisti internazionali: la profonda instabilità del quadro politico italiano.
«Per la prima volta – secondo il Presidente dell’Eurispes, Prof. Gian Maria Fara – si stanno avvitando su se stesse tre diverse crisi: oltre a quella economica e a quella sociale, si aggiunge una degenerazione preoccupante del quadro politico-istituzionale. Siamo insomma di fronte alla “tempesta perfetta”. E gli effetti di questo pericoloso amalgama rischiano di essere sottovalutati».
L’estremo rigore delle misure messe in campo, porta a dubitare che nei prossimi anni si riuscirà a riprendere la strada della crescita. E questo, anche a causa della natura recessiva di molti provvedimenti adottati e da adottare, come ha ammesso molto chiaramente perfino lo stesso Presidente del Consiglio, Mario Monti, alcune settimane fa.
Della stessa opinione, d’altronde, la maggioranza dei cittadini italiani che nelle rilevazioni effettuate dall’Eurispes dichiarano di essere molto preoccupati per il futuro: il 56,6% crede, infatti, che la situazione economica nei prossimi mesi è destinata a peggiorare, mentre solo il 6,1% pensa, al contrario, che possa migliorare. È interessante mettere in evidenza quanto emerge dalla lettura diacronica del sentiment raccolto; osservando la serie storica, appare subito evidente quanto la crisi economica in atto sia stata determinante nel cambio di atteggiamento dei cittadini. Nel 2007, infatti, il sentiment generale era decisamente meno pessimista e la quota di cittadini che ipotizzava un miglioramento della situazione economica del Paese, era pari al 35,6%, mentre già nel 2008 gli ottimisti crollavano al 10,9%, segno di un rapido deterioramento del quadro complessivo. Una situazione estremamente difficile, compromessa anche dall’involuzione che sta attraversando il quadro politico-istituzionale sia sotto il profilo delle riforme annunciate e mai approvate – o, peggio ancora, realizzate a metà – sia sotto il profilo giudiziario, con episodi di corruzione intollerabili per i cittadini chiamati, nello stesso tempo, a fare sacrifici enormi.
Il livello di fiducia degli italiani nelle Istituzioni è particolarmente basso, vicino ai limiti di guardia. Una sfiducia aumentata in modo significativo negli ultimi 2 anni e sfociata nel preoccupante dato del 2012: più di 7 italiani su 10 hanno dichiarato una sfiducia crescente verso le Istituzioni. Ma i recenti fatti di cronaca giudiziaria che hanno investito i principali partiti politici e alcune delle più importanti istituzioni territoriali, portano a immaginare un quadro ancora più compromesso, un distacco preoccupante tra i cittadini e le Istituzioni, in un momento in cui, al contrario, ci sarebbe estremo bisogno di un governo capace di dare risposte ai complessi processi sociali in atto.
Tra le Istituzioni, quelle più apprezzate e sulle quali si ripone un’ampia fiducia ci sono le Forze dell’ordine e la Presidenza della Repubblica. Carabinieri, Polizia di Stato, Guardia di Finanza confermano quote di consenso molto elevate. Al primo posto troviamo l’Arma dei Carabinieri con un livello di fiducia pari al 75,8%, seguita dalla Polizia di Stato, con il 71,7% e dalla Guardia di Finanza, con il 63,3%. Al di fuori dalle Forze dell’ordine l’unica istituzione che mantiene livelli di autorevolezza e di fiducia ancora molto alti è la Presidenza della Repubblica che, con il 62,1% di fiducia espressa dai cittadini, conferma il suo ruolo di imparzialità e garanzia. Già prima degli scandali che si sono succeduti in questi mesi, l’ultima rilevazione Eurispes indicava un continuo calo di fiducia dei cittadini nei riguardi della politica in senso stretto. Soprattutto verso il Parlamento verso cui solo il 9,5% dichiarava di riporre fiducia. Proprio questo enorme distacco della società civile dalla politica rende particolarmente instabile il contesto sociale dell’Italia, aggravato, tra le altre cose, da una totale mancanza di progettualità; nessun soggetto decisionale appare in grado di suggerire uno scenario o un progetto credibile per il rilancio del Paese. Ancora ieri la Caritas ci ha ricordato che la povertà nel nostro Paese non solo esiste, ma il numero dei nuovi poveri è in vertiginoso aumento. Siamo di fronte a quella che l’Eurispes ha definito la “società dei tre terzi”. Una società che si va configurando con un terzo dei suoi appartenenti garantiti e al riparo da ogni possibile sfavorevole congiuntura economica, un terzo composto dai ceti tradizionalmente esclusi, dei poveri e degli emarginati, e un terzo, i ceti medi, che, avendo a disposizione quote di reddito appena sufficienti, vivono in una condizione di instabilità di precarietà.
Insomma stiamo perdendo i ceti medi; se si aggiunge lo smantellamento dello stato sociale rischieremo di avere nell’immediato futuro una minoranza di ricchi e una sterminata massa di neo-proletari. Intanto, l’area della povertà continua ad espandersi velocemente e tocca ormai fasce che un tempo venivano considerate immuni. In Italia abbiamo circa 2,5 milioni di famiglie al di sotto della soglia di povertà per un totale di circa 8 milioni di soggetti. Altre 2,5 milioni di famiglie sono appena al di sopra di questa soglia. In totale, il fronte ufficiale del disagio profondo è costituito da circa 16 milioni di persone a cui va aggiunta una quota sempre più ampia di povertà nascosta ovvero di quei “poveri in giacca e cravatta” che altro non sono la triste avanguardia di quei ceti medi “in caduta libera” sui quali si fondava fino a qualche anno fa l’economia del nostro Paese.
Oggi facciamo finta di meravigliarci della caduta degli indici e delle tipologie dei consumi e non riflettiamo sul fatto che questa è solo in parte una flessione congiunturale ed è, invece, la spia di un mutamento di carattere strutturale legato proprio all’impoverimento dei ceti medi. Soprattutto da questo fenomeno nasce l’inquietudine delle giovani generazioni tra le quali si è diffusa la convinzione di un futuro incerto e forse peggiore del presente.
La marginalizzazione di strati sempre più ampi della popolazione, la riproduzione di modalità nuove di esclusione economica, la manifestazione di forme di “povertà fluttuante” non si traducono soltanto in situazioni di carenza materiale ed economica.
«Continuare a parlare solo di rigore, tagli, sacrifici e vincoli – avverte il Presidente dell’Eurispes – nella totale assenza di un progetto, di un’idea di prospettiva, di una visione strategica per il rilancio del Paese, rischia di alimentare un senso di smarrimento e di totale sfiducia che potrebbe portare nel breve-medio termine ad una nuova stagione di rivendicazione e proteste difficilmente governabili. Con il rischio concreto che la situazione possa complicarsi ulteriormente e sfuggire di mano».