I politici messinesi sono rivoluzionari. E anche noi nel nostro piccolo, non li sopportiamo più

Siamo diventati una città di intolleranti: Messina da città babba a culla della rivoluzione. Banchetti, raccolte di firme, rifiuti zero, democrazia partecipativa: sarà poi Oro politico tutto quello che luccica? Oppure si degrada a fatto episodico una condizione di servitù che riguarda gran parte della cosiddetta società civile messinese? Il cittadino dello Stretto scende in piazza, non solo per il pettegolezzo, il messinese vuole partecipare, chiedere, decidere… c’è sicuramente del vero in queste motivazioni, ma anche qualche forzatura. Ci conosciamo tutti, ma c’è sempre il furbo che vuol apparire per quello che non è: rivoluzionario! O forse lo siamo sempre stati e finora ci siamo nascosti dietro l’immagine consolante dei cittadini accoglienti e solidali. Accettiamo persino amministratori scadenti, assessori parolai, consiglieri opportunisti. Poi, una volta che qualcuno s’è espresso in senso contrario senza ricevere sanzioni o pomodori in faccia, s’è aperto il vaso di Pandora per cui ora tutto sembra lecito, soprattutto quando l’esempio verbale viene dai piani alti. E così la Messina che si offende per gli stereotipi in stile spaghetti&mafia parte lancia in resta perché i quartieri periferici siano dimore di lusso (?), la spazzatura ecologica e le finanziarie opere no profit: di quale città si tratta? Liberissimi i civilissimi rivoluzionari che vogliono affrontare i rischi di una battaglia così folcloristica, ma altrettanto liberi chi li voglia criticare per aver taciuto le porcherie vere in cambio di una remunerata “marketta”. Fino a quando questa visione della politica non sarà considerata per quella che è, e cioè indegna di una città civile, ogni altra discussione sarà irrilevante e massimamente ipocrita.