L’Italia ha il "triste primato in Europa" del maggior numero di prescrizioni (circa 130mila quest’ultimo anno) e "paradossalmente, del più alto numero di condanne della Corte Europea dei diritti dell’uomo per l’irragionevole durata dei processi". E’ l’allarme lanciato dal presidente della Corte d’Appello di Milano, Giovanno Canzio, durante l’intervento di apertura dell’Anno giudiziario a Milano. Il magistrato è critico verso l’attuale disciplina della prescrizione del reato che definisce "illogica nella parte in cui estende i suoi effetti sul processo penale, propiziandone il grado di ineffettività con il fallimento della funzione cognitiva e la sconfitta dell’ansia di giustizia delle vittime e della collettività". Continua l’alto magistrato: "Essa si rileva come un agente patogeno: scoraggia, mediante una sorta di premialità di fatto, le premialità legali dei diritti alternativi, incentiva strategie dilatorie e implementa strumentalmente le impugnazioni". Canzio propone una "ricetta" per risolvere il problema. "Al fine di restituire razionalità ed efficienza al sistema non e’ tuttavia opportuno allungare ulteriormente i termini della prescrizione e, di conseguenza, la durata dei processi, bensi’ sembra piu’ coerente stabilire il divieto di dichiarare la prescrizione del reato nel corso del processo, salvo che (sulla falsariga del modello tedesco) prima della sentenza di condanna di primo grado non sia gia’ decorso il tempo necessario, assicurando poi termini celeri e certi per le successive, eventuali fasi di impugnazione, la cui ingiustificata violazione non resti priva di conseguenze". Durante il discorso inaugurale a Milano, Canzio ha sottolineato che l’eccessiva lunghezza delle indagini può portare i media ad accanirsi contro gli indagati. "Va sottolineata la doverosita’ del rispetto dei termini delle investigazioni – afferma Canzio – atteso che dall’eccessivo scarto temporale con il giudizio deriva la concentrazione dei media su quella che costituisce la formulazione, allo stato, di un’ipotesi accusatoria, destinata alla verifica dibattimentale secondo la regola decisoria dell’al di là di ogni ragionevole dubbio". "Una troppo lunga indagine, ancor più – aggiunge – se corredata da misure custodiali, esalta l’ipertrofia accusatoria, rafforza nell’opinione pubblica i pregiudizi di colpevolezza, puo’ ledere il diritto di difesa dell’indagato, ne suscita la contrapposta ipertrofia difensiva". Per questo, Canzio propone una "obbligatorietà temperata dell’azione penale, e apprezza le linee del disegno governativo di legge delega n. 5019 bis che prevedeva casi di sospensione del procedimento per reati non particolarmente gravi e per imputati irreperibili, oltre a pene detentive non carcerarie "presso il domicilio". Canzio esprime "rammarico" perche’ questo provvedimento non sia stato approvato definitivamente dal Parlamento a causa dell’anticipato scioglimento delle Camere.
"Il drammatico problema della situazione carceraria costituisce una intollerabile vergogna per l’Italia". E’ la denuncia del procuratore generale presso la Corte d’Appello di Roma, Luigi Ciampoli, in occasione dell’inaugurazione dell’Anno Giudiziario. "Le prospettate e pur lodevoli riforme – ha detto il pg Ciampoli – rimaste talvolta nella sola fase del tentativo, anche se realizzate non sarebbero di per se’ sufficienti". Per Ciampoli il problema del sovraffollamento carcerario "non può risolversi con la concessione di provvedimenti di clemenza" o con "la costruzione di spazi piu’ vivibili e decorosi per i detenuti". "Occorrerà – ha concluso Ciampoli – affrontare globalmente il problema, rivisitando a monte tutta la configurazione degli illeciti penali adeguandone le figure all’interesse sociale oggi espresso, rimeditare il concetto di pena, correlandolo con misure alternative che contribuiscano e realizzino il reinserimento sociale del condannato con una sua fattiva partecipazione. In buona sostanza la pena non dovrebbe essere piu’ concepita come evento subito ma invece quale periodo utile ed operoso".