Tra le correnti ribelli al Magistero della Chiesa c’è quella modernista, la più influente e più dannosa, proprio perché è riuscita ad inserirsi in ambienti alti della Chiesa. Lo stesso Paolo VI, in un discorso del 19 gennaio 1972 definì la crisi dottrinale post-conciliare come un ritorno del modernismo. L’interpretazione modernista si diffuse molto presto anche tra gli ordini religiosi tradizionali, come i Gesuiti, i Domenicani e i Francescani, “ognuno dei quali ha avuto il suo portabandiera”, scrive Giovanni Cavalcoli nel suo Progresso nella continuità. Pubblicato da Fede & Cultura (2011). Tra gli esponenti più famosi, da Karl Rahner, Edward Schillebeeckx a Leonardo Boff. In Italia sono presenti nella scuola di Bologna diretta da Giuseppe Alberigo, questi sono diffidenti e relativisti, privilegiano l’evento e lo svolgimento dei lavori conciliari rispetto alle conclusioni dottrinali. “Molti si chiedono – scrive Cavalcoli – come si sia potuto verificare un tale e così vasto fraintendimento del Concilio”. Il padre domenicano ne sottolinea alcuni punti, tra questi il linguaggio del Concilio non è sempre chiaro ed è passibile di essere strumentalizzato in senso modernista. Altra difficoltà è la gran mole di documenti, dove appare difficile reperire i punti dottrinali veramente vincolanti. Questo ha consentito sia ai lefebvriani che ai modernisti di sottovalutare l’autorevolezza delle dottrine conciliari. Inoltre tra le cause del fraintendimento c’è l’atteggiamento ingenuamente ottimistico diffusosi nell’episcopato del post-concilio, con la conseguente diminuzione della vigilanza nei confronti dell’insorgere di errori ed eresie. L’episcopato sembrava intimidito dalla marea montante modernista, ottimamente organizzata e sostenuta da grandi mezzi finanziari. E’ mancata una certa disciplina per frenare gli estremismi, sono stati favoriti il disordine, l’anarchia e l’indisciplina (vedi per esempio la liturgia).
Sono interessanti le riflessioni del cardinale Giacomo Biffi nel suo libro Memorie e digressioni di un italiano cardinale, Cantagalli, Siena, 2010, quando scrive che quello “che viene in maniera quasi ossessiva addotto ed esaltato non è il Concilio che di fatto è stato celebrato, ma (per così dire) un ‘Concilio virtuale’; un concilio che ha un posto non nella storia della Chiesa, ma nella storia dell’immaginazione ecclesiastica”. Chi poi si azzarda pur timidamente a dissentire, è segnato col marchio infamante di ‘preconciliare’, quando non addirittura annoverato coi tradizionalisti ribelli o con gli esecrati integralisti”.
Nonostante tutti questi guai, per Cavalcoli, il vero rinnovamento conciliare è andato avanti. Secondo il Papa il Concilio va visto come “un supremo testimone della Tradizione, certo non di una Tradizione viva, che si trasmette ininterrotta e fedele dai tempi di Cristo nell’insegnamento orale ovvero nella predicazione dei Successori degli Apostoli e che sempre meglio nel corso della storia viene conosciuta, si da generare un continuo progresso nella conoscenza e nella pratica della Parola di Dio e dell’ideale cristiano”.
Cavalcoli tra le due interpretazioni distorte del Concilio, il lefebvrismo e il modernismo, c’è l’interpretazione cattolica, raccomandata dal Santo Padre Benedetto XVI, con una formula divenuta celebre: “Continuità nella riforma”, ovvero “novità nella continuità”: novità, che vuol dire progresso, per quanto riguarda l’avanzamento nella conoscenza dei dati della fede. Tra i criteri interpretativi fondamentali del Concilio uno spetta al Catechismo della Chiesa Cattolica, se si ha difficoltà a leggerlo, c’è il Compendio. L’altro criterio interpretativo spetta al Pontefice regnante, l’autentico e definitivo interprete dei documenti conciliari. Tuttavia per Cavalcoli occorre tenere conto della differenza tra gli insegnamenti dogmatico-dottrinale e quelli morali-giuridico-pastorali. I primi sono infallibili, i secondi no, “per cui non è proibito sollevare prudenti obiezioni o riserve o critiche, in modo che gli errori possano in un futuro essere corretti”. E’ una distinzione importantissima per Cavalcoli, che permette di evitare due eccessi: da una parte, quella dei fanatici del Concilio, per i quali tutto quello che dice è verità assoluta, salvo poi, da buoni modernisti, concepire l’assoluto come mutevole, per cui la ‘verità assoluta’ di oggi è contro la ‘verità assoluta ‘ di ieri, da qui il loro ripudio della Tradizione. Dall’altra, l’eccesso di coloro che non ravvisano nel Concilio nulla di infallibile, con la scusa che sarebbe un Concilio solo ‘pastorale’ e non esistono in esso nuovi dogmi”. Si tratta di due eccessi di segno opposto che sostengono entrambi la “rottura”, come dice giustamente monsignor Agostino Marchetto.
A questo proposito lo stesso Paolo VI chiarisce che “non bisogna staccare gli insegnamenti del Concilio dal patrimonio dottrinale della Chiesa, sì bene vedere come in esso apportino testimonianza, incremento, spiegazione, applicazione. Allora anche le ‘ novità’ dottrinali o normative del Concilio appariscono nelle loro giuste proporzioni, non creano obiezioni verso la fedeltà della Chiesa alla sua funzione didascalica, e acquistano quel vero significato, che la fa risplendere di luce superiore”.
Pertanto “occorre collegare gli insegnamenti del Concilio con quelli del Magistero precedente tuttora validi. Gli insegnamenti dottrinali sono sempre validi”, anche se alcuni usi pastorali del passato sono stati abbandonati. Certo il Concilio ha utilizzato un linguaggio moderno per esporre la dottrina cristiana, ma ciò non autorizza a trascurare i precedenti insegnamenti del Magistero sia come affermazioni dottrinali che come condanne degli errori. Per Cavalcoli sarebbe un grave errore pensare, come fanno i modernisti, che il Concilio abbia abolito le condanne del passato per il fatto che non ne parla. Invece esplicitamente Giovanni XXIII, inaugurando il Concilio disse che la dottrina avrebbe presupposto quella precedente della Chiesa, compresi gli errori condannati. Per concludere, il libro di Giovanni Cavalcoli sostiene che il Concilio Ecumenico Vaticano II non ha per niente cancellato la condanna degli errori moderni di Pio IX relativi al liberalismo, del Vaticano I, relativi al fideismo (erede del luteranesimo), del razionalismo (erede dell’illuminismo), del modernismo condannato da Pio X, del falso ecumenismo o del comunismo condannato da Pio XI, o della massoneria. Ecco secondo Cavalcoli,“l’inganno perpetrato dai modernisti è stato quello di far credere a molti che queste condanne non valessero più per il solo fatto che il Concilio non le rinnovava, dimenticando che le condanne dottrinali, le quali coinvolgono l’infallibilità del magistero, sono irrevocabili per il fatto che toccano valori immutabili”.
DOMENICO BONVEGNA