La corsa per le amministrative di Messina amalgama ma non eccelle, s’effonde nelle personalità più diverse, ma solo per finire, se va bene, nella media delle altre gestioni del potere. Media che da queste parti non è il massimo della politica. Apri il giornale e ti vien il mal di pancia per le nefandezze amministrative che saltano agli occhi: possibile che questi politici siano il meglio che la razza messinese può mettere sul piatto? La grande novità è la filza di candidati: neppure Portobello avrebbe potuto considerare la varietà dei “mostri”. Esatto, la nascita del sommerso che ambisce ad amministrare Messina. In realtà questi candidati sono da considerare dei reduci come molti dei loro testimonial, degli oggetti senza valore e dunque non da votare. Messina ha bisogno di altro e soprattutto di persone competenti che possano traghettare la città verso una sponda sicura che al momento è lontana perché offuscata dalla nebbia. Messina ha necessità di sicurezza e di rifare i conti tagliando quei rami secchi che la politica di una volta ha prodotto e che i messinesi hanno pagato quasi fossero dei grandi manager. Non è il caso di dare retta ai nuovi eroi figli del passato: occorre invece dare fiducia a quei laboriosi ragionieri per i quali la città e il suo fare positivo c’è ancora, e anzi potrebbe divenire lievito potente della modernizzazione non solo del Comune ma di Messina. Eppure, a pensarci bene, nel nome di Messina ci sarebbe un’idea di amministrazione tutt’altro che mediocre; anzi centrata su un intelletto e una morale elevate. E a preoccupare è la mancanza di questa visione in gran parte dei candidati che per il momento si sono proposti: chi è un talebano, chi un prodotto del recente burrascoso passato, chi senza qualità sopra la media. Parliamoci chiaramente: fare il sindaco non è da tutti né per tutti. Un rischio di cui i cittadini sono da sempre coscienti. E i risultati dimostrano che abbiamo spesso dato fiducia a persone sbagliate. I guai dell’Atm, dell’Ato3, dei Servizi sociali, di Messinambiente lo testimoniano: abbandono e trascuranza dei valori e dei conti. In quella classe dirigente non sono le élite ma è la loro idea di comunità che difetta. Ecco perché diffidiamo, non per qualcosa di personale.