Non si può dire che G. K. Chesterton non avesse ragione quando osservava che “tutto sarà negato. Tutto diventerà un credo. Negare le pietre della strada sarà una posizione ragionevole; diventerà un dogma religioso riaffermarle”. Il fiume d’inchiostro sgorgato dalle penne dai professionisti dell’informazione che hanno commentato i risultati delle primarie del centrosinistra messinese dimostra come lo scrittore inglese avesse visto giusto già nel secolo scorso.
Il pensiero unico del giornalista collettivo non ha lasciato spazio a dubbi o incertezze: il risultato delle primarie è da considerarsi figlio dei desideri dell’apparato, lasciando intendere con tale espressione, tanto in voga negli ultimi tempi, il fatto che dietro la vittoria di Felice Calabrò vi sia la solita longa manus del solito e irredimibile Francantonio Genovese. Unica variante al tema, dovuta per forza di cose, è il presunto “comparaggio” di D’Alia. Questa è dunque la verità del giornalista collettivo e guai a permettersi la pur minima obiezione, il credo dev’essere solo uno: negare tutto e andare contro l’evidenza dei fatti. Non importa poi che il post-primarie sia tutto un susseguirsi di virgolettati, di “si dice che” o “si vocifera che”, riportati con l’immancabile raccomandazione del “trattasi di vociare, bisbiglio o confidenza personale che riferiamo invitandovi a prendere tutto quanto con la necessaria cautela”, non importa, perché tutto assume valore secondario, la verità deve rimanere una e una sola: quella del giornalista collettivo, per l’appunto. A un conformismo del genere si può rispondere solo facendo osservare che gli interessi politici di Genovese, oltreché legittimi, sono noti a tutti, così come noti sono quelli di D’Alia e di ogni altro politico messinese. Altrettanto vero è, inoltre, il fatto che i 12.000 elettori delle primarie non possono essere ridotti a dei burattini in mano al “signore della formazione” (il g. c. sovrabbonda sempre di aggettivi e ammiccamenti), e offensivo è pure considerare i 4.878 elettori che hanno scelto Calabrò alla stregua di mentecatti privi di ogni minima cognizione di causa. L’informazione è una cosa seria, così come cosa seria è la politica e per entrambi i fatti non hanno lo stesso valore delle parole. Più che dare spazio al gossip dunque molto meglio sarebbe sentire le ragioni di coloro hanno partecipato alle primarie e quali sono stati i motivi che li hanno spinti a compiere una scelta piuttosto che un’altra. Magari si scoprirebbero tante cose interessanti e inaspettate, come per esempio il fatto che i cittadini non sono poi tutti così servili come si vuol far credere e qualche ideuzza sul futuro e lo sviluppo della città ce l’hanno pure. Purtroppo al giornalista collettivo di tutto questo interessa poco, teso com’è a negare tutto e andare contro la realtà. Se quello del giornalismo collettivo è, ultimamente, il modo di fare informazione, allora non si può che essere fieri dell’accusa di dogmatismo religioso che i professionisti dell’informazione lanceranno nei confronti di chi scrive subito dopo la lettura di queste semplici e ovvie considerazioni.
Nicola Currò