Questa lettera si colloca nel periodo della festa del nostro patrono S. Giacomo. E come ogni anno la celebrazione di tale evento dovrebbe vedere responsabilmente coinvolti i cristiani impegnati a condividere un percorso religioso e culturale alimentato dalla testimonianza della propria fede…
In tale contesto desidero proporvi qualche riflessione alla luce del brano di Lc 10,38-42 proclamato durante la messa del 21 luglio u.s.
Sappiamo dal vangelo che Gesù era di casa presso la famiglia di Marta, Maria e Lazzaro, dalla quale veniva accolto con molta delicatezza nel loro focolare domestico a Betania.
Il primo punto della trattazione riguarda quindi il desiderio, che poi diventa lo “stile”, della nostra accoglienza. A ben pensarci la nostra vita comincia con l’accoglienza (soprattutto da parte della mamma che fa spazio nel suo grembo) e prosegue poi con questa caratteristica.
Betania nel contesto ecclesiale è sinonimo di accoglienza… Oggi quest’ultima parola è istituzionalizzata: “case di accoglienza, centri di accoglienza, strutture di accoglienza….”. C’è il rischio che tale dimensione essenziale venga delegata ad altri, a organismi i quali, se da un lato fanno emergere l’attenzione dell’uomo contemporaneo verso i più disagiati, dall’altro rischiano di fungere da alibi alle responsabilità dirette dei cristiani.
Una brava persona una volta precisò – maldestramente – il suo impegno: “faccio molta carità, ma fuori dalla porta di casa mia, perché non voglio lasciarmi coinvolgere dai problemi degli altri”. Ho l’impressione che questa forma borghese di accoglienza sia largamente diffusa fra i cristiani…
Torniamo al vangelo. “Marta accolse Gesù in casa sua”. Non è cosa da poco. Qui l’evangelista presenta una provocazione inaudita fino a quel momento: una donna (che con la sorella minore) accoglie un uomo in casa propria è cosa disdicevole. Eppure queste due donne non si lasciano influenzare dalla cultura del “bon-ton”, sempre in agguato solo per salvare la facciata.
Queste sorelle corrono i rischi che comporta accogliere calorosamente un amico, fare della propria casa un luogo di confronto, anche se quest’ultimo provoca qualche disagio.
Dal dialogo con Gesù emergono novità sorprendenti, fondamentali per dare un significato alla propria esistenza.
Marta scopre che la vita consiste nel cercare e capire qual è l’unica cosa necessaria per la quale vale la pena investire tutte le nostre risorse , tutti i nostri affanni. Al di là di questa scoperta, tutto diventa relativo e contingente.
Sta proprio in questa scoperta il segreto con il quale colorare la nostra esistenza. Se talvolta quest’ultima dovesse risultare stanca e opaca … dipende dal fatto che non abbiamo scelto la “parte buona”, quella fondata sulla roccia che non crollerà mai.
Non vorrei tuttavia che l’episodio di Betania fosse motivo per edulcorare la nostra vita a tal punto da farla piombare nell’irreale. Anche per queste due sorelle, infatti, arriva il momento della sofferenza: il fratello Lazzaro si ammala gravemente e muore. La fede di Marta e Maria viene messa alla prova e comprenderà che credere non significa sottoscrivere una polizza assicurativa sugli imprevisti della vita.
Con fine tatto Gesù corregge la portata della fede della sorella maggiore, la quale proietta la risurrezione “nell’ultimo giorno”. Il Maestro afferma che l’eternità ha avuto già inizio. In effetti, la nostra vita contiene i germi dell’eternità perché ha fatto esperienza della presenza di Dio che non muore mai.
Carissimi amici, vi invito a riprendere in mano il libro dei vangeli e rileggere con calma Lc 10,38-42 e Gv 11,20-27. Scopriremo che accogliendo Gesù presente in chi viene a “visitarci” ci sentiremo accolti da Lui che ci invita ad andare in disparte per stare e riposare nel suo amore.
Ettore Sentimentale