Non sono bastati i conigli nel cappello del Cavaliere per modificare una realtà che oggi al Senato è stata rappresentata compiutamente: il governo Letta ha incassato non solo la fiducia della Camera alta con 235 voti a favore sui 305 votanti, ma anche un grande successo personale del presidente, e si rafforza nella presenza moderata dei suoi componenti. Il Pdl al contrario si avvia alla spaccattura, perdendo via via i pezzi che lo compongono. Neppure il colpo di reni di Silvio Berlusconi, che dopo una surreale altalena sul voto (prima sì, poi no, poi forse, poi no) nel corso della mattinata, in riunione con una cinquantina di senatori fedelissimi, si presenta infine in Aula per annunciare il suo sì. Un tentativo in extremis per evitare la spaccatura plateale del partito, per uscire dall’angolo in cui l’aveva stretto Letta e le prese di posizione di larghe fette di suoi parlamentari, a cominciare dal segretario Alfano e quel suo voler essere ”diversamente berlusconiano”, per proseguire oggi con le 23 firme sotto una mozione a sostegno del governo Letta pronta per la presidenza, a cui si aggiungevano una trentina di senatori determinati a non partecipare al voto. Una mossa, quella di Berlusconi, che certamente aspira a future ‘graticole’ per il premier, ma la cui minaccia appare fortemente depotenziata dopo l’emergere delle nuove anime del Pdl, anzi, come spiega a chiare lettere Gaetano Quagliariello, di ”due classi dirigenti incompatibili”. Cosi’ i falchi del partito, incuranti dell’indicazione di Berlusconi sono sfilati davanti alla presidenza del Senato senza dichiarare il proprio voto (”Sono assente!” ha affermato Alessandra Mussolini, alzando il braccio come a dire ‘e non chiedetemi altro’) o non si sono presentati affatto, come Sandro Bondi. I dissidenti moderati tentano di smorzare i toni, con Lupi che, a chi gli chiede se si fara’ un nuovo gruppo, spiega rassicurante che no, visto come sono andate le cose, il Pdl e’ di nuovo compatto. Nello stesso momento Roberto Formigoni dichiarava a un altro gruppo di cronisti che invece si’, il nuovo gruppo sta nascendo e che nel pomeriggio ci sara’ una riunione in proposito. La maggioranza insomma resta quella di prima, senza nuovi partiti a sostegno o cambi di casacca, ma cambia la sua anima, con il netto prevalere delle forze moderate che la compongono, a dispetto dei falchi che escono politicamente battuti da questo esame davanti al Paese. A guardare i numeri e le sigle, il risultato di oggi sembra per il resto per lo piu’ la fotocopia di quello del 30 aprile scorso, quando il Senato venne chiamato ad esprimere la sua fiducia al governo Letta al suo insediamento. Allora votarono si’ 233 senatori, dei gruppi Pd, Pdl, Gal, Autonomie-Psi, Scelta civica, mentre espressero voto contrario M5S e Sel (in tutto 59), si astenne la Lega Nord (gli astenuti furono 18 su 16 leghisti). Oggi si confermano i senatori favorevoli (235). I gruppi a sostegno del premier sono Pd, Pdl, Scelta civica, Autonomie-Psi. Gal, a dispetto della dichiarazione di voto contro la fiducia, poi si e’ espressa compatta in linea con le indicazioni di Berlusconi, tranne il capogruppo Mario Ferrara, che non si è presentato al voto in coerenza con l’intervento in Aula, e Giulio Tremonti, che aveva già annunciato di non avere intenzione di parteciapare a ”sceneggiate tragicomiche”. Contrari ancora Sel e M5S (tra questi ultimi assenti solo Crimi, Orellana, Marton), a cui si aggiunge anche la Lega Nord, per complessivi 70 senatori, tra cui figura anche il pidiellino Vincenzo D’Anna, in linea con la sua dichiarazione in dissenso. Tra le fila del Pdl risultano assenti dal voto, pur presenti a Palazzo Madama, Sandro Bondi, Remigio Ceroni, Augusto Minzolini, Alessandra Mussolini, Francesco Nitto Palma, Emanuela Repetti. Gli ultimi in assoluto a votare, dopo l’insistente richiamo del presidente Grasso verso i senatori che dovevano ancora esprimere il voto a conclusione delle due chiame, saranno un Renato Schifani visibilmente provato e il vicecapogruppo Pdl, Giuseppe Esposito.