Sono anni che si discute di diffamazione a mezzo stampa e gli sviluppi per chi il giornalismo lo pratica su Internet. Movimenti di opinione, campagne di sensibilizzazione, chiare azioni di pressione, hanno costellato questa necessaria riforma di una legge, quella sulla diffamamzione, che ci inchiodava ancora a epoche passate. Come se Internet non fosse mai stato.
Ieri la Camera dei Deputati ha approvato la proposta di legge in materia di diffamazione (testo che contiene modifiche alla legge 8 febbraio 1948, n. 47, al codice penale e al codice di procedura penale in materia di diffamazione, di diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, di ingiuria e di condanna del querelante).
Il documento, in esame da giugno, è stato licenziato dalla Commissione giustizia il mese seguente, per passare in aula ad agosto per la discussione generale. Il passo successivo, dopo l’attuale approvazione, sarà quella dell’esame in Senato.
Dal punto di vista ANSO, e quello degli editori online, sicuramente il testo avrà bisogno di altre limature e correzioni. E lo stato dell’arte, considerando le modifiche sostanziali, è il seguente.
La diffamazione a mezzo stampa non comporta una pena detentiva per il giornalista ma, a seconda dei casi, una pena pecuniaria (da 5 a 60mila euro); la pubblicazione della sentenza; l’interdizione temporanea dalla professione. La rettifica viene valutata dal giudice come causa di non punibilità.
No ai commenti che accompagnano la rettifica. Il testo deve essere pubblicato riportando titolo, data e autore dell’articolo diffamatorio. In caso di inottemperanza, scatta una sanzione amministrativa (da 8 a 16mila euro).
Le testate giornalistiche online e radiofoniche vengono espressamente incluse nel testo normativo.
Danno e risarcimento sono quantificati su alcuni parametri: diffusione della testata, gravità dell’offesa, effetto riparatorio della rettifica. È possibile esercitare l’azione civile entro due anni dalla pubblicazione.
Il direttore responsabile è coinvolto se c’è un nesso fra diffamazione e omesso controllo. Non rischia l’interdizione dalla professione e può delegare la funzione di vigilanza.
Se la querela è infondata (querela temeraria), il querelante può essere condannato al pagamento di una somma da mille a 10mila euro.
Anche il giornalista pubblicista può avvalersi del segreto professionale di fronte al giudice, per non rivelare le proprie fonti.
Per ingiuria e diffamamazione fra privati, anche telematiche, niente carcere ma aumenta la multa (fino a 5mila euro per l’ingiuria e 10mila per la diffamazione).
ANSO approfondirà nelle prossime ore la lettura del documento uscito dalla camera con i propri legali per valutare rapidamente delle eventuali proposte di modifica da sottoporre ai senatori.
Gli editori associati che volessero indicare proprie osservazioni in merito possono farlo scrivendo a segreteria@anso.it