
Il pacchetto privatizzazioni delle società pubbliche dello Stato presentato dal Governo, pur se timido, sembra orientato in una direzione interessante per la liberazione della nostra economia, ma sembra avulso dalla politica e, soprattutto, dai tempi della stessa. A parte la vendita di tutte le azioni di Grandi Stazioni (il Tesoro controlla il 100% di Ferrovie dello Stato, che ha il 60% di questa azienda), tra Eni, Fincantieri, Sace, Cdp Reti, Enav e Stm, è stata annunciata la vendita in modo tale da garantire, sempre e comunque, il controllo dello Stato. Una cautela comprensibile, che il Governo, per l’appunto, ha annunciato essere solo l’avvio delle privatizzazioni (non a caso chiamate tali e non liberalizzazioni). Si parla di introiti potenziali di 10-12 miliardi… pochi, terribilmente pochi per le esigenze attuali della nostra economia. A nostro avviso le privatizzazioni possono essere interessanti solo come primo passo verso la liberalizzazione, cioè la totale uscita dello Stato (inclusa la golden share) dalla gestione di attività a prevalente interesse privato, dove la garanzia che non vadano a finire contro gli interessi dei cittadini utenti e consumatori deve essere si’ fatta dallo Stato, ma in quanto garante politico e controllore e non “padrone”; altrimenti -come quasi sempre avviene oggi, anche a livello regionale e locale- lo Stato (e la Pubblica Amministrazione) si ritrovano a svolgere la funzione di controllore e controllato, che è la negazione dei principi base della democrazia politica ed economica. In virtù di questo ci nasce il dubbio sulla reale possibile incidenza dei provvedimenti del Governo. Perchè non si è fatto un piano di dismissione totale? La timidezza con cui si è avviata questa privatizzazione sembra come se ad agire fosse un Governo di tecnocrati garantiti su tempi e modi (come, per esempio, accade per la Commissione Europea) e non invece espressione di una politica che, un giorno sì e l’altro pure, fa barcollare l’assetto istituzionale. Un contesto in cui -a nostro avviso- non si possono fare programmi a lunga gettata ma solo a breve scadenza. Nessuno ci garantisce che fra pochi mesi si vada a nuove elezioni, a nuovi governi che si potrebbero fare bandiera del monopolio o procrastino l’attuale ingerenza dello Stato nel suo travestimento privato. Per questo, se si sarà di fronte a un processo complessivo avviato, sarà più difficile fermarlo rispetto a un contesto dove -sostanzialmente- ci sono solo buone intenzioni. Ci rendiamo conto che la nostra è una posizione che potrebbe funzionare in un contesto in cui gli interessi delle corporazioni (economiche e politiche) fossero marginali. Ma dobbiamo per questo far finta di nulla e plaudire alla sostanziale lezioni universitaria di “economia delle privatizzazioni” a cui abbiamo assistito da parte del Governo?
Vincenzo Donvito, presidente Aduc