Normalmente nei convegni, nei congressi e nelle tavole rotonde quando si affrontano questioni di carcere e di pena, mancano comunemente i diretti interessati: i prigionieri. Il Segretario di Nessuno tocchi Caino, Sergio D’Elia, come fanno di solito i radicali, è voluto andare contro corrente. E ha deciso che il Quinto Congresso di Nessuno tocchi Caino si svolgerà, in collaborazione con “Ristretti Orizzonti”, il 19 e 20 dicembre nel carcere di Padova fra i prigionieri e gli ergastolani condannati alla Pena di Morte Viva. A mia volta io per coinvolgere più prigionieri e per avere una testimonianza dal basso ho scritto a diversi ergastolani sparsi nei vari carceri chiedendo a loro: “Preferisci la pena di morte o l’ergastolo?”ed ecco alcune loro risposte:
-Io credo che molto dipenda dallo stato d’animo in cui una persona si trova, ci sono dei momenti che si desidera solo morire, a volte vivere per sperare di uscire, anche se vecchio e acciaccato, gli ultimi anni fuori di questi luoghi. (Mario da Sulmona, venticinque anni di carcere fatti).
-Bella domanda! Posso parlare per me: quando ho avuto l’ergastolo preferivo la pena di morte, anzi l’ho desiderata, ma pensando a tanti ergastolani con figli, per loro penso che non sia giusto. A ogni modo una morte bianca l’abbiamo lo stesso. (Antonio da Parma, ventidue anni di carcere fatti).
-Io sinceramente preferirei la pena di morte: è rapida e non soffri e soprattutto non devi subire giornalmente mille abusi e soprusi. L’ergastolo in un certo qual modo equivale alla pena di morte perché lo stato ti sopprime piano, piano; il che è molto più annientante sotto il profilo psicofisico e morale, rispetto alla pena di morte vera e propria. (Pasquale da Catanzaro, trentaquattro anni di carcere fatti).
-Una domanda difficile cui non sono sicuro di poter rispondere esprimendo il mio vero pensiero, poiché se in alcuni giorni la voglia di vivere sembra superare ogni ostacolo, in altri invece quando penso che per tutta la vita dovrei sottostare ai voleri altrui, preferirei la morte” (Salvatore da Volterra, vent’otto anni di carcere fatti)
-La domanda sinceramente è molto violenta e poco risolutiva, poiché so per certo che una vita trascorsa qui sarebbe come morire con un’agonia interminabile, ma con una flebile speranza che alimenta la voglia di andare avanti. La morte l’ho pensata tante volte e con la più sincera verità propenderei per la speranza di vivere, affinché la stessa vita mi desse modo di riscattare il mio diritto all’acquisizione di uno spazio di liberta. (Giovanni da Opera Milano, ventinove anni di carcere fatti).
-Domanda da un miliardo di euro. Se non avessi i miei figli e la mia compagna e in tutti i casi una buona ragione per soffrire preferirei la pena di morte perché l’ergastolo è l’idea di essere condannato a morte rimanendo vivi. (Alfio da San Gimignano, ventiquattro anni di carcere fatti).
-Pena di morte, però una cosa sbrigativa, non come in America che ti ammazzano dopo tanti anni. In tutti i casi, in modo diverso sono entrambi spegnimento di vita. (Vincenzo da Novara, vent’otto anni di carcere fatti)
-L’ergastolo lascia sempre una speranza, ma volendo guardare in faccia la realtà, allo stato attuale, a come vengono applicate le leggi, per tutto ciò che provoca l’isolamento e la lontananza del carcere, forse sarebbe meglio la pena di morte, sicuramente meno dolorosa. (Francesco da Spoleto, ventinove anni di carcere fatti). Queste sono alcune delle testimonianze dal “Paese dei morti viventi”: il 19 e 20 dicembre io cercherò di raccontare cosa significa vivere da morti e senza speranza, pur con un corpo che vive ancora. Penso che in Italia siamo riusciti a sconfiggere la pena di morte ufficiale, ma non siamo riusciti a sconfiggere la cultura della pena di morte. E forse molti sono contrari alla pena capitale solo perché è più crudele tenerci in vita.
Carmelo Musumeci
Carcere di Padova