Sono circa 67mila i docenti precari della scuola che si accingono ad iniziare, nelle prime settimane del 2014, i corsi di abilitazione a pagamento: si tratta dei Pas, i Percorsi Abilitanti Speciali riservati ai supplenti che hanno maturato almeno tre anni di servizio. I corsi, tenuti dalle Università, termineranno in estate, ma chi conseguirà il titolo non ha alcuna garanzia sulla sua spendibilità. Come se non bastasse, mentre il Ministero dell’Istruzione non accenna a cambiare idea sul voler tenere blindate le graduatorie ad esaurimento – quindi il titolo servirà solo per l’inserimento nella seconda fascia d’istituto delle graduatorie d’istituto nelle scuole secondarie, primarie e dell’infanzia – , ora si scopre che per svolgere i corsi abilitanti, sino a qualche anno fa gratuiti, i docenti precari dovranno pagare tra i 2.000 euro (Usr del Lazio) e i 2.500 euro (Università di Camerino).
In pratica, viene chiesto a decine di migliaia di supplenti di acquisire un titolo di cui non si avverte più alcuna necessità. In cambio di una considerevole somma in denaro, che non può certamente essere considerata, come sostiene il Miur, un contributo alle spese organizzative delle procedure abilitanti. E questo anche perché, dopo aver accusato il taglio progressivo del fondo ordinario, gli atenei sono stati costretti a prevedere dei rimborsi cospicui per mettere in piedi dei corsi formativi di cui fino all’anno 2000 lo Stato si era fatto totalmente carico.
Il sindacato non può essere indifferente a tutto questo. Perché, se le abilitazioni all’insegnamento, al pari delle idoneità conseguite al termine dei concorsi a cattedra, non servono ad essere collocati nelle graduatorie pre-ruolo, per quale motivo si chiede ad un docente di conseguirlo? Perché si dice ad un precario, che per almeno tre anni scolastici ha già svolto a tutti gli effetti le mansioni di insegnante nel sistema d’istruzione pubblico, anche come commissario di esame, che se vuole continuare a svolgere questo mestiere deve conseguire una certificazione fittizia?
“La verità è che dopo aver trattato i futuri docenti di sostegno come una sorta di ‘bancomat’ – sostiene Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – stiamo assistendo all’ennesima truffa ai danni di tantissimi precari che da anni già svolgono la professione. Si chiede loro di sostenere l’ennesimo corso, ma senza che questo gli permetta di inserirsi stabilmente nel mondo del lavoro, ovvero nelle graduatorie ad inserimento. Estremizzando il concetto – continua Pacifico – si potrebbe dire che siamo arrivati al punto che per continuare a fare i precari si deve pagare. E nemmeno poco”.
Quanto sta accadendo, tra l’altro, tiene lontano il nostro Paese del sistema di reclutamento che l’Europa indica ai suoi stati membri attraverso una precisa direttiva comunitaria, la quale prevede il riconoscimento formale della professionalità acquisita dopo tre anni di servizio: per questo motivo il mancato inserimento degli abilitati nella GaE non ha motivo di fondamento. E per questi motivi, per via dell’aggiramento dell’Italia delle indicazioni che arrivano da Bruxelles, l’Anief si è fatto carico della presentazione di migliaia di ricorsi.
“Non si comprende per quale motivo – continua Pacifico – , sovvertendo il nostro ordinamento, l’amministrazione abbia prima chiuso l’accesso alle GaE e poi deciso di impedire l’accesso ai corsi abilitanti riservati a coloro che hanno maturato 360 giorni di servizio, inserendo una nuova normativa sui requisiti di accesso. Con minimo tre annualità, da almeno 180 giorni ciascuna, di cui una sulla disciplina: anziché regolarizzare la posizione di chi ha insegnato senza abilitazione, ma si è formato sul campo garantendo la funzionalità del servizio formativo statale, si creano artificiosamente degli ostacoli. Chiudendo di fatto le strade che portano al ruolo. Senza dimenticare che in questo modo – conclude il sindacalista Anief-Confedir – si sta pure tradendo la volontà del Parlamento, il quale in più occasioni ha chiesto di tenere unita la formazione al reclutamento”.