GLI ANNI SPEZZATI. UN UOMO DA NON DIMENTICARE

La fiction di Rai1 del 7 e 8 gennaio scorso su “Gli anni spezzati. Il Commissario”, ci ha fatto ripiombare nei cosiddetti “Anni di piombo”, dal 1968 in poi, per quasi dieci anni in Italia, l’estremismo di sinistra voleva realizzare la società comunista, attraverso la Rivoluzione, tutto questo con la benevolenza, con il consenso e a volte con la complicità della maggior parte dei giornali e del mondo della cultura ufficiale, che definiva “sedicenti” le Brigate Rosse.
“Ci volle il cadavere di Moro (…) per interrompere una mistificazione che i mass media conducevano dal tempo della prima scoperta dei primi covi delle Brigate Rosse (…) Perché accadde tutto questo? Si domanda Michele Brambilla, “molti giornalisti agirono per fede politica. Ma molti altri, più semplicemente, si accodarono seguendo il vento, che in quel momento sembrava portare a un immancabile trionfo del marxismo”. (Michele Brambilla, L’Eskimo in redazione. Edizioni Ares, 1991). Per conoscere il fenomeno del Sessantotto e del terrorismo, c’è un interessantissimo libro “Gli anni del desiderio e del piombo. Sessantotto, terrorismo e Rivoluzione”, Sugarcoedizioni (Milano 2008), scritto da Enzo Peserico, stimato professionista milanese, cattolico militante, membro di Alleanza Cattolica, scomparso prematuramente.
Il testo di Peserico sostiene che,“Le premesse di una stagione di contestazione e rivolta erano in incubazione e che il 1968 portò alla luce segnando l’inizio di un periodo che porterà negli anni successivi anche alla lotta armata con la creazione di diversi gruppi e movimenti che si muoveranno all’interno della cosiddetta “sinistra extra-parlamentare”. La preparazione e l’avvio della lotta al sistema cominciò con l’occupazione di alcune università: in particolare a Trento, presso la facoltà di sociologia nacque quella che sarà la “fucina della rivoluzione” e questo grazie al contributo di studenti di area cattolica, convinti che la sintesi tra cristianesimo e rivoluzione fosse che il Regno di Dio doveva corrispondere al regno dell’uguaglianza teorizzato dal marxismo. Tra questi studenti di formazione cattolica il più importante fu Renato Curcio, uno dei fondatori delle Brigate Rosse. Questa “meglio gioventù” – o gioventù bruciata – aprì lo scenario del terrorismo di sinistra in Italia ed è in questo modo che cominciarono a muoversi gruppi e sigle nel contesto dello stesso filone marxista-leninista. Comunque le BR costituiranno il “nucleo d’acciaio” di rivoluzionari che spenderanno la propria vita per il successo della Rivoluzione in perfetta sintonia con il Che fare? di Lenin, «in cui s’ipotizza […] un gruppo di rivoluzionari di professione, che consacrano la loro vita alla rivoluzione e che operano interpretando le istanze del proletariato affinché esso prenda coscienza”.
Poi vediamo che la strada della lotta armata fallì, lasciando dietro di sé una lunga scia di morti, mentre, la rivoluzione culturale che aveva conquistato il cuore e la mente di una generazione di giovani, è rimasta.“Così, finita l’ubriacatura ideologica di quegli anni, nei quali il marxismo era visto come un’utopia che era ancora possibile realizzare nell’ottica di una società perfetta, il riflusso di quella stagione ha portato oggi a quella che l’allora cardinale Ratzinger ha definito in maniera lucida come una «dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie”.
In questo clima è stato ucciso il povero commissario Luigi Calabresi, chiamato con disprezzo, “commissario finestra”, perché colpevole, secondo la sinistra, di aver buttato dalla finestra l’anarchico Giuseppe Pinelli, sospettato insieme a Pietro Valpreda dell’attentato, del 12 dicembre 1969 alla Banca dell’Agricoltura in piazza Fontana a Milano, costato la vita a 16 persone. Un anno dopo, il giudice Antonio Amati aveva concluso l’istruttoria sulla morte attribuendola al suicidio. Ma questo non è bastato ai vari movimenti della sinistra italiana. Centinaia di giornalisti e uomini di cultura (ben 800), tra questi Alberto Moravia, Norberto Bobbio, Umberto Eco, Margherita Hack, sottoscrissero una lettera di protesta, pubblicata da l’Espresso, nel quale Calabresi veniva definito “commissario torturatore” e “responsabile della morte di Pinelli”. A tutti questi si aggiunse “(…)il Movimento nazionale giornalisti democratici, sorto nei pensatoi controllati dai partiti comunista e socialista, fonte inesauribile di autentica disinformazione e di ricostruzioni arbitrarie dei fatti, basate sulle fantasie più assurde e indimostrabili, vera sorgente alla quale si abbeveravano giornalisti che scrivevano sui quotidiani e sui settimanali più diffusi”. (Luciano Garibaldi, Luigi Calabresi. Un uomo da non dimenticare, sett-/Ott. 2007, n.66 Il Timone) E’ significativa la ricostruzione che ne fanno i vari movimenti rivoluzionari di allora, compresi giornalisti e scrittori vari: “ la polizia ha messo le bombe nelle banche e vuol farne ricadere la colpa sull’editore Giangiacomo Feltrinelli. Pinelli smaschera il diabolico piano. Calabresi lo uccide”. (ibidem) Infatti scriverà Leonardo Marino nel suo libro “La verità di piombo”, edito da Ares, 1992, successivamente ristampato con il titolo “Così uccidemmo il commissario Calabresi”: “ero convinto, che l’anarchico Pinelli fosse stato ucciso nella questura di Milano da calabresi o comunque per ordine di Calabresi”. La campagna di stampa tambureggiante e convincente, non solo dei giornali di sinistra, ma anche di quei giornali cosiddetti “borghesi” faceva dire a Marino e soci: “Ma allora è tutto vero!”. Secondo Garibaldi, gli “Ottocento”, uomini di cultura che aderirono alla lettera-appello contro Calabresi, sono i veri mandanti morali dell’uccisione. “Tutti costoro condannarono Calabresi senza disporre di un benché minimo indizio, dopo che la magistratura lo aveva prosciolto in un regolare processo, senza assolutamente chiedersi, prima di firmare, chi veramente fosse l’uomo che accusavano di assassinio, che indicavano – con l’autorevolezza dei loro nomi – al pubblico ludibrio e al linciaggio dei fanatici dell’estrema sinistra”. Poi bisogna anche dire che le istituzioni, come bene evidenzia la fiction televisiva, per certi versi hanno abbandonato al suo destino il povero commissario. Pertanto si può senz’altro sostenere con Garibaldi che “Lo Stato disertò. Gli “ottocento” firmarono. E, sulla base di quelle firme, Lotta Continua uccise” (ibidem) Adesso magari con queste due puntate televisive, si spera dopo decenni di calunnie di restituire l’onore della memoria al commissario Calabresi, servitore della legge, padre di famiglia esemplare, buon cristiano e forse qualcosa di più…

DOMENICO BONVEGNA
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