UOMO è il PROBLEMA DEI FIUMI ITALIANI

Ancora una volta i fiumi esondano e ci si trova impreparati e increduli; ora è la volta della provincia di Modena, come della Liguria. Negli ultimi 60 anni 3660 persone hanno perso la vita a causa di frane e alluvioni e il costo complessivo dei danni a seguito di questi eventi è superiore ai 52 miliardi di euro. C’è stata una sequenza incredibile di eventi calamitosi che hanno colpito e continuano a colpire l’Italia in questi ultimi decenni. Il Polesine (1951), Firenze (1966), la Valtellina (1987), per passare da Sarno (1998) e Soverato (2000), Messina (2009), il Po (1994 de 2000), il Veneto (2010) o la Lunigiana e Genova (2011) però si continua a “canalizzare” e cementificare i corsi d’acqua, a non garantire la manutenzione ordinaria di sponde e argini, a impermeabilizzare il territorio e a “consumare suolo” al ritmo di oltre 90 ettari al giorno.

Alcuni organi di stampa riportano dichiarazioni che attribuirebbero la colpa agli ambientalisti che si oppongono agli abbattimenti delle nutrie (Myocastor coypus) che costruendo le tane lungo le sponde dei corsi d’acqua provocherebbero il franamento di argini e difese spondali, fenomeno tutto da dimostrare soprattutto lungo il bacino del Po e dei suoi affluenti dove gli argini sono generalmente “armati” con lastre di cemento e diaframmi che vanno nel sottosuolo fino a 10/20 metri per cui le nutrie difficilmente possono scalfirli, a meno che ci siano dei cedimenti non gestiti. In Italia vengono spesi circa 4 milioni di euro l’anno per il contenimento di questo roditore per la realizzazione di recinzioni elettrificate, protezione meccanica degli argini attraverso l’uso di reti composite stese al suolo, piani di cattura e abbattimento gestiti dalle Province, molti dei quali realizzati da quelle della bassa padana (Mantova, Cremona, Reggio Emilia, Modena…); questi interventi sono generalmente poco efficaci soprattutto perché le Amministrazioni provinciali si muovono autonomamente senza alcun coordinamento vanificandosi a vicenda gli sforzi.

Peraltro il WWF non si è mai opposto al controllo della fauna introdotta, riconoscendo la presenza di specie estranee alla nostra fauna e alla nostra flora, come una delle più importanti minacce per la biodiversità ma il problema però non è trovare di volta in volta un capro espiatorio, ma è di avviare un governo del territorio. Innanzitutto occorre dare applicazione alle Direttive europee su Acque (2000/60/CE) e alluvioni (2007/60/CE), istituendo le Autorità di distretto (previste fin dal 2006 dal Dlgs.152/2006), favorendo una diffusa azione di rinaturazione sul territorio e riattivando un’efficace manutenzione ordinaria; azioni che rispondono anche ai principi di un’adeguata politica di adattamento ai cambiamenti climatici. Nei piani di intervento e di risanamento del dissesto idrogeologico, infatti, va tenuto conto del fattore di aumento esponenziale del rischio rappresentato dall’aumento di numero e intensità degli eventi estremi provocato dal riscaldamento globale.

E’ fondamentale inoltre che la gestione e la manutenzione dei corsi d’acqua e del territorio risponda a criteri ecologici e naturalistici e non consideri meramente gli aspetti idraulici dei fiumi considerandoli dei semplici “tubi” in cui l’acqua deve scorrere il più velocemente possibile.

A tal proposito il WWF plaude per quanto, finalmente, è stato inserito nella recentissima legge di stabilità che finanzia "interventi di messa in sicurezza del territorio", destinando risorse per un ammontare complessivo di oltre 1,3 miliardi di euro ad "interventi immediatamente cantierabili" ed indirizzati prioritariamente "agli interventi integrati finalizzati alla riduzione del rischio, alla tutela e al recupero degli ecosistemi e della biodiversità e che integrino gli obiettivi della direttiva 2000/60/CE […] e della direttiva 2007/60/CE […]"; inoltre, vengono previste anche “misure che favoriscano la delocalizzazione in aree sicure degli edifici costruiti nelle zone colpite dall’alluvione classificate nelle classi di rischio R4 e R3 secondo i piani di assetto idrogeologico", ma soprattutto che "gli interventi sul reticolo idrografico non devono alterare l’equilibrio sedimentario dei corsi d’acqua e gli interventi di naturalizzazione e di sfruttamento di aree di laminazione naturale delle acque devono essere prioritari rispetto agli interventi di artificializzazione".

Il WWF Italia rilancia alcune proposte indispensabili per riappropriarci di un territorio che ha bisogno di regole, prevenzione, governo sostenibile, tra cui:
• l’applicazione delle Direttive europee su acque e rischio alluvionale. L’Italia, infatti, non può più procrastinare l’applicazione delle Direttive “acque” (2000/60/CE) e “rischio alluvionale” (2007/60/CE) . Da anni, almeno dal D. lgs.152/2006, la questione è praticamente ferma alla conferenza Stato e Regioni e con essa è ferma l’istituzione delle Autorità di distretto idrografico;
• la promozione di una diffusa azione di rinaturazione, che è certamente una via per contribuire seriamente alle politiche di adattamento e mitigazione dei cambiamenti climatici; inoltre vi sono numerose possibilità per favorire interventi che possono coniugare interessi diversi ed evitare ulteriori spese allo Stato.
• La riduzione della vulnerabilità aumentando la responsabilità del singolo. E’ indispensabile promuovere una corretta informazione e formazione per la popolazione esposta al rischio idrogeologico.
• L’immediata applicazione di quanto contenuto nella legge di stabilità 2014 riguardo soprattutto agli “interventi di naturalizzazione e di sfruttamento di aree di laminazione naturale delle acque” che “ devono essere prioritari rispetto agli interventi di artificializzazione”