“Magazzino 18”, il musical teatrale di Simone Cristicchi probabilmente rappresenta un inaspettato “regalo”, per una migliore conoscenza della storia dell’eccidio degli italiani nelle foibe e dell’esodo dei 350 mila italiani dall’Istria, Venezia Giulia e Dalmazia, ma anche un gradito riconoscimento per chi da decenni si è battuto e continua a battersi per rendere giustizia e memoria a questa tragedia. Sono convinto che per la rappresentazione teatrale di Cristicchi possa valere quello che disse in un convegno qualche anno fa il reggente nazionale vicario di Alleanza Cattolica, Massimo Introvigne, a proposito di quel film tratto dalla saga di “Twilight” di Stephenie Meyer, dove la protagonista è una ragazza che preferisce portare avanti la gravidanza avuta con un vampiro invece di abortire. Il film, che è stato visto da milioni di giovani, è un inno alla vita. Certo se la protagonista del film fosse stata una ragazza credente, non avrebbe sortito lo stesso effetto del film diretto da Catherine Hardwicke . Lo stesso vale, credo per i messaggi sicuramente positivi, vedi quello sulla verginità che il noto calciatore Nicola Legrottaglie, da qualche anno, esprime attraverso libri e incontri. La verginità promossa da un calciatore, ottiene sicuramente più audience, che se è sostenuta da una suora.
Ben vengano dunque gli spettacoli come Magazzino 18 per far conoscere meglio la Storia, magari ai giovani delle scuole come sembra stia facendo Cristicchi.
In questi giorni nell’approssimarsi della Giornata del Ricordo”, sono andato a rivedermi i libri di Arrigo Petacco e Raul Pupo, che inquadrano la vicenda Foibe ed esodo in un ben più ampio contesto storico che tra l’altro, appare abbastanza complesso. Siamo in piena seconda guerra mondiale e soprattutto al centro dell’esasperata esplosione dei vari nazionalismi, in particolare, quelli appartenenti al nostro confine orientale. Sia Petacco con il suo “L’esodo. La tragedia negata degli italiani d’Istria, Dalmazia e Venezia Giulia”, Mondadori (1999) e Pupo con “Il Lungo esodo. Istria: le persecuzioni, le foibe, l’esilio”, Rizzoli (2005) entrambi prima di affrontare la pulizia etnica degli italiani in questi territori, raccontano quello che è successo nei decenni precedenti, in particolare come si è formato lo stato multinazionale della Federazione degli stati slavi del sud, poi Jugoslavia con il maresciallo Tito. Inoltre si raccontano i conflitti, quasi subito accesi dopo la 1 guerra mondiale, con la cosiddetta“ vittoria mutilata” e poi con l’acquisizione di Fiume, di Pola e di Zara. Peraltro, Petacco puntualizza che “la conquista di territori storicamente italiani non significava che tutti gli abitanti di quelle terre fossero felici di diventare tali…”. A questi cittadini avevano promesso “la libertà di lingua e di cultura”, ma spesso accade il contrario, soprattutto con l’avvento dei “fascisti di confine”, che ideologizzati dal loro nazionalismo aggressivo, si scontrarono con l’altro nazionalismo altrettanto aggressivo, croato e sloveno. Pertanto il governo di Mussolini si presentò in questi territori con “due volti ben distinti”, secondo Petacco. Sul piano economico diede il via a importanti bonifiche e a grandi opere pubbliche, eliminando la disoccupazione. Sul piano politico, purtroppo, attuò una politica, per certi aspetti, razzista, intollerante e discriminatoria, vedi la scuola e la faccenda dei cognomi, che provocò la reazione dei gruppi nazionalisti slavi. Nasce tra Roma e Belgrado una vivace e continua conflittualità, la causa principale dell’attrito era sempre rappresentata dal problema delle reciproche minoranze: quella slava in Italia e quella italiana in Dalmazia. Ma anche“Il governo di Belgrado infatti non era certo più tenero nei confronti dei suoi cittadini di lingua italiana di quanto non lo fosse quello italiano con la minoranza slava”. La situazione si aggrava con il secondo conflitto mondiale, l’Italia entra in guerra, l’area balcanica, ben presto si infiamma perché la Germania aggredisce la Jugoslavia, che sparisce dalla carta geografica, molti territori balcanici diventano italiani a tutti gli effetti come il litorale dalmata, con Ragusa e Spalato, mentre la Croazia dell’ustascia Ante Pavelic, si è trasformato in uno Stato indipendente. A questo punto inizia la mattanza, tra le due maggiori etnie slave, “non è una tragica novità dei nostri giorni – scrive Petacco – bensì una costante sempre presente nei rapporti conflittuali fra le varie stirpi del mosaico jugoslavo. L’abisso di odio che divideva i croati dai serbi era antico e profondo”. In pratica in questi mesi in quei territori si uccideva con una spietatezza e furia inaudita, insomma “una guerra di tutti contro tutti”. Atrocità inenarrabili racconta un diplomatico italiano in visita al Poglavnik di Zagabria. Nel dopoguerra fra le accuse che gli jugoslavi hanno fatto all’Italia, (forse per giustificare i loro massacri e infoiba menti degli italiani come un fenomeno di giustizia popolare), c’è quella che gli eserciti italiani hanno commesso violenze e atrocità durante l’occupazione.“In realtà – scrive Petacco – il comportamento delle nostre truppe fu molto diverso”. Gli stessi dirigenti fascisti lamentavano il comportamento inumano dei nazisti e i loro cupi soprusi. Da parte loro, i tedeschi accusavano gli alleati italiani di ‘evidenti e continue prove di simpatia nei confronti dei serbi e degli ebrei che venivano protetti dalle persecuzioni degli ustascia e aiutati a trasferirsi coi loro beni nella zona italiana”
In questi mesi nasce un tipo nuovo di guerra: la guerriglia, con i suoi metodi bolscevichi, tipica del Novecento, lo scrive anche Matteo D’Amico, nell’opera collettanea a cura dell’AESPI, “Italia, Confine Orientale e Foibe”, edizione Solfanelli. Una guerra totale, dove sono coinvolti militari ma anche e soprattutto civili, vecchi, donne e bambini. Lo scontro viene presentato non più come tra avversari posti sullo stesso livello politico e morale, “ma sul piano di uno scontro radicale fra il bene e il male, uno scontro assoluto”. Prevale il metodo bolscevico, o “cekista”, quello dello sterminio indiscriminato degli oppositori o nemici di classe, distruzione di popoli interi sulla base degli interessi del Partito Comunista. L’obiettivo messianico, è il successo della Rivoluzione, quello che conta, è il Partito, non il popolo. Attenzione questo vale anche per il partito nazionalsocialista di Hitler. L’irruzione di questi metodi bolscevichi in parte spiegano la barbarie della guerra in Jugoslavia. “Il grosso dei caduti è dovuto a stragi di carattere etnico-ideologico intercorse fra i diversi gruppi armati(…) Pertanto scrive D’Amico, “Nell’inferno dei Balcani e della Jugoslavia straziata dalla guerra civile e partigiana, la catastrofe finale è segnata dall’armistizio dell’8 settembre e dalla insensata gestione degli avvenimenti che seguirono da parte del governo Badoglio”. E’ proprio in questi eventi la radice della tragedia delle foibe e dell’esodo di massa degli italiani. Ma su questo ritorneremo a parlare nel prossimo appuntamento.
DOMENICO BONVEGNA
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