Analizziamo l’ultimo pilastro della pace: il perdono. Possiamo affermare che qualsiasi iniziativa per la pace rischia di essere vana se non si trasforma in un lavoro concreto che prenda le mosse dal profondo del cuore dell’uomo, laddove ci si lascia plasmare dalla giustizia di Dio e la si vive sotto le sembianze del perdono.
Questo binomio inscindibile ha dato vita a diverse giornate mondiali per la pace. Basterebbe qui menzionare quelle del 1997 (“Offri il perdono, ricevi la pace”) e del 2002 (“Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza pace”).
Giovanni Paolo II definiva la pace come la “politica del perdono”. Ed è su questo ultimo elemento che vorrei soffermarmi per fare delle brevi considerazioni.
Perché bisogna perdonare? Per il semplice motivo che solo il perdono si oppone all’incremento del male e spezza la spirale di violenza. E come il perdono crea una nuova relazione fra due o più persone, così a livello internazionale il nuovo legame sfocia nella pace.
Chi perdona veramente ha rotto tutti gli ostacoli che lo schiacciavano. Ha messo da parte la collera, il rancore, lo spirito di vendetta nei quali era avvolto per intraprendere un’altra vita.
È chiaro che questa reciprocità non è sempre realizzabile,tuttavia si può avviare unilateralmente senza che sia l’altro a fare il primo passo.
Gli esempi in questa direzione sono tanti e qui vorrei riprendere le parole di p. Christian de Chergé, priore della comunità monastica di Tibhirine (Algeria), presagendo la fine(con 2 anni di anticipo) che sarebbe piombata improvvisa su di lui e i suoi confratelli: “Venuto il momento, vorrei poter avere quell’attimo di lucidità che mi permettesse di sollecitare il perdono di Dio e quello dei miei fratelli in umanità, e nello stesso tempo di perdonare con tutto il cuore chi mi avesse colpito”. Parecchi ricorderanno che insieme abbiamo visto il film “Uomini di Dio”: una lezione chiara e puntuale come all’odio si risponde con il perdono, presupposto per una vera pace.
Il perdono di Dio si rende presente nei nostri perdoni umani, seppur limitati. Basta leggere bene il vangelo per comprendere come Gesù invece di protestare e replicare ai suoi carnefici, ha preferito dire: “Padre, perdonali, non sanno quello che fanno”.
Da più parti ci si lamenta che l’aria della nostra società è irrespirabile. Il motivo a mio giudizio è uno solo: nei luoghi contrassegnati dall’odio non è mai fiorito il perdono.
Capisco che la situazione attuale è alquanto complessa e critica e tanti si chiedono: si può perdonare quando si commettono crimini contro l’umanità, quando dei bambini vengono violentati e assassinati, quando un terrorismo cieco uccide vittime innocenti?
Il perdono non cancella le ingiustizie, ma è un appello ad andare oltre l’orrore e la vergogna. Il perdono che viene da Dio (e di cui noi diventiamo il prolungamento storico) risana, placa e guarisce.
Solo questo ci permette di liberarci dalle catene dell’odio e di restaurare la speranza.
Desidero chiudere queste note sui pilastri della pace, riportando le parole di mons. Henry Tessier, vescovo di Algeri in occasione della prima commemorazione del massacro dei trappisti di Tibhirine: “ Il nostro compito è di continuare il percorso di pace, di amore di Dio e dell’uomo in queste differenze. Il nostro dovere è di innaffiare i semi lasciatici in eredità dai monaci perché i fiori crescano dappertutto più belli e profumati”.
Che sia così anche per noi in questa primavera ormai alle porte.
Ettore Sentimentale