Bacchettata Ue all’Italia: solo in Grecia serve più tempo per trovare lavoro dopo il diploma

Per trovare un’occupazione un giovane italiano deve aspettare quasi un anno, per l’esattezza 10 mesi e mezzo, dal conseguimento del titolo di studio: un periodo lunghissimo se si considera che nell’Europa a 27 solo la Grecia fa attendere di più ai propri giovani per trovare un impiego. Il dato è contenuto nel documento attraverso cui Bruxelles chiede al Governo italiano “un’azione urgente e decisa” per combattere l’appiattimento competitivo e la continua salita del debito: dopo aver sottolineato che l’Italia ha la percentuale più alta di popolazione con istruzione solo di base e la percentuale più bassa di popolazione con istruzione terziaria nell’Ue, la Commissione si sofferma sul fatto che il tempo medio tra il conseguimento del titolo di istruzione e l’inizio del primo lavoro è stato di 10,5 mesi. Siamo secondi solo alla Grecia (13,5).

La stampa specializzata ha osservato che si tratta di indicazioni davvero preoccupanti. Anche perché, parallelamente, aumenta in modo vertiginoso la presenza di Neet (giovani di età compresa tra 15-29 non in materia di istruzione, occupazione o formazione): nel 2012 era al 24%, la terza percentuale più alta in Europa. Non fanno ben sperare anche i modesti tassi di competenze per gli adulti, ma anche per i giovani: “dati negativi che puntano a un ulteriore ampliamento del divario delle abilità nel futuro. Così in particolare in sede OCSE PIAAC, l’Italia si colloca al fondo dell’alfabetizzazione tra i paesi partecipanti al sondaggio e solo al di sopra la Spagna nelle abilità matematiche. Solo il 3,3 % degli italiani raggiunge il punteggio più alto per l’alfabetizzazione (media OCSE dell’11,8 % ) e del 4,5 % per la matematica (media OCSE è circa il 10%)”.

Come ravvisato dal sindacato in queste ore, si allarga sempre più la forbice tra l’istruzione impartita al Nord rispetto a quella del Sue e delle Isole: “ad esempio, gli studenti di Trento, Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Lombardia tendono ad avere punteggi medi ben al di sopra della media OCSE”. Come se non bastasse, “la percentuale di giovani tra i 18 ei 24 anni che lasciano la scuola senza istruzione secondaria superiore era 17,6 % nel 2012, vale a dire 5 pps superiore alla media UE – 27 e ancora al di sopra dell’obiettivo nazionale per il 2020 (15-16 % )”. In particolare, il tasso di abbandono risulta molto alto durante il primo anno delle superiori. Con discrepanze regionali non indifferenti: “il tasso varia da circa il 15 % nelle regioni settentrionali e centrali al 25% in Sicilia e Sardegna (20% nel resto del sud)”. È più alto proprio nelle regioni dove i Governi negli ultimi anni, soprattutto tra il 2008 e il 2011, hanno tagliati più docenti.

Va male, se non peggio, l’esito del successo formativo a livello universitario: il tasso di drop-out terziaria in Italia (55%) è stato il più alto tra i paesi OCSE. E nelle fasi successive della vita lavorativa, la partecipazione degli adulti italiani per "l’educazione degli adulti" è tra le più basse nei paesi PIAAC (il 24% dei lavoratori rispetto alla media OCSE del 52%). In generale, la spesa pubblica italiana per l’istruzione equivale al 4.5% del PIL, 1 pp inferiore alla media UE, “soprattutto a causa una riduzione della spesa per l’istruzione terziaria”.

“Quel che risalta da questo rapporto – spiega Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – è che non solo, come segnalato dal sindacato, occorre introdurre degli organici dei docenti flessibili in modo da fronteggiare le diverse complessità sociali, culturali ed economiche delle varie aree del Paese. Ma occorre tornare ad investire con decisione su tutto il comparto istruzione. E più in generale nella conoscenza. Anziché pensare di cancellare un anno di scuola, penalizzando il percorso della scuola superiore – conclude Pacifico -, si torni ad alzare il tempo scuola e a dare dignità al corpo insegnante che oggi percepisce stipendi tra i più bassi dell’area Ocse”.