AL SUPERMERCATO DELLA DROGA

di Vincenzo Andraous

Ecco la vulgata farsi avanti, questa volta il trambusto e il rumore di accompagnamento alla richiesta di poter “farsi” è davvero ridondante. La Consulta ha abrogato la legge Giovanardi-Fini che regolava la materia della droga e delle tossicodipendenze, per cui ora tra chi fuma uno spinello e chi si buca o sniffa cocaina esisterà una grande differenza, d’ora in poi anche la legge tornerà a tenere conto di queste diversità. La Corte Costituzionale ha infatti "bocciato" la legge Fini-Giovanardi che equipara droghe leggere e pesanti: nella norma di conversione furono inseriti emendamenti estranei all’oggetto e alle finalità del decreto. E’ tempesta mediatica senza precedenti, come la confusione dialettica tra significati ben diversi e distanti, infatti per chi scrive non esiste una droga normale, una droga che fa bene, una droga buona e un’altra cattiva, più semplicemente esiste la droga che fa male. A sentire esperti e specialisti, il carcere verrà riequilibrato, risolto il problema endemico dell’Amministrazione Penitenziaria dal sovraffollamento, fatti uscire dalle gabbie migliaia di detenuti, perché adesso è sancita la mistura peregrina per autorizzare una droga leggera, quindi finalmente accettabile.
Quando c’è un grave momento di crisi, trapasso di usi e costumi, l’idea salvifica sta nel rigurgito di vecchie richieste liberticide, che in sintesi vorrebbero significare il comando a dare a ogni singolo individuo adulto la possibilità di scegliere di drogarsi o meno, di dire e fare della propria salute, nonché della propria vita. Questo pensiero parrebbe esprimere rispetto per le scelte individuali, invece non è così, somiglia di più a un inseguimento circolare, meccanico, che riporta al punto di partenza, sempre che ci si arrivi, incolumi, a quel nastro di avvio, in barba alle norme del diritto e di tutela della persona. In gioco non c’è soltanto la salute e la vita, ma anche la libertà e l’esistenza degli altri, soprattutto degli innocenti, che spesso pagano dazi non propri, quegli innocenti che rimangono spesso senza giustizia, senza sostegno per le lacerazioni imposte e ingiustamente subite. Quando sento dire che la canna fa bene, oppure non fa male, non crea danni fisici-psichici collaterali, penso che scienza è non solo coscienza, per comprendere che i principi attivi sono cambiati, esponenzialmente superiori a ogni sopportabilità, che stordirsi equivale a non essere lucidi, né presenti, che sballarsi non è normale, come non lo è mai troncare gambe e vite a chi ci è prossimo. Farsi le canne comporta il rischio di un progressivo uso di altre droghe, una riduzione-capacità cognitiva, di memoria, psicomotoria, alimentando ansia, stress, depressione, i più formidabili nemici del tempo, nostro compagno di viaggio. Proibizionismo e antiproibizionismo non fanno servizio agli ultimi, non aiutano i più fragili, non accompagnano i più giovani a ben camminare, serve una norma che spinga al recupero della persona, non certamente un manifesto che incita a sostenere “la libertà della droga, a discapito della libertà dalla droga”. Qualcuno mi ha risposto: non sempre finisce come è accaduto a te, non sempre si diventa fatti a vita o tossici, non sempre c’è sangue, assenza, tragedia in agguato, non sempre al divertimento si sostituisce la dipendenza, la patologia, la malattia. Non amo il pensiero unico che non aiuta le persone, ma spacciare statualmente significa usare le persone, renderle addomesticate, non certamente liberarle: fumare, calare, tirare, non è slancio in avanti che avvicina al traguardo, bensì allontana ulteriormente da ogni forma concreta di autorealizzazione. Fumare canne non fa bene: incidenti stradali, inciampi professionali, rese e abbandoni scolastici, sono dietro l’angolo, per non parlare del fatto che legalizzare non farà abbassare le utenze, il Giudice Borsellino lo ha spiegato bene, non è superata dal tempo passato la sua eredità intellettuale quando afferma che in questo modo aumenteranno quelle pesanti. Per chi come me svolge il proprio servizio in una comunità di servizio e terapeutica, a stretto contatto con i più fragili, con i tossicodipendenti, non è difficile provare che il 90% di queste persone ha iniziato la propria discesa all’inferno scoprendo le droghe erroneamente definite, peggio, interpretate “leggere”. Ho l’impressione che il mondo adulto viva malamente la propria condizione di formatore e di guida, come se fosse sufficiente ridurre tutto a una nozione da trasmettere, invece no, non è così, occorre raccontarla la vita, soprattutto ai più giovani, raccontare che le anse non proteggono e le derive portano al macero. Se non c’è automatismo tra chi fuma e chi sniffa, c’è sicuramente una correlazione e una contaminazione statistica che lo conferma. Lo stato già vende alcol, tabacco, slot e gioco d’azzardo, perché farsi tanti problemi? Proprio perché lo stato guarda ai capitolati e ai denari importanti per peso di ingresso, occorre mettersi di traverso. Conosco la fatica e la sofferenza che circondano le persone che stanno tentando di riprendersi la propria vita violentata dall’alcolismo, dalla ludopatia, dal tabagismo, c’è urgenza di mettersi a mezzo per non aggiungere altre lacerazioni a quelle che già ci sono. C’è perfino chi protesta per il ritiro della patente se trovato positivo al test per uso di sostanze, una canna non fa niente, non ti mette in coma, non ti fa fare retromarcia durante una corsa dritta. Ricordo come fosse ieri quella macchina, i tre ragazzini, le cartine e i pezzetti di fumo, diventa un pugno nello stomaco, l’ammasso di ferraglia contorta tutta intorno al grande albero, il silenzio fermo, acre come l’odore del sangue mischiato all’olio motore. Rimasero in due a strisciare sull’asfalto per raggiungere il lago. Rammento la rabbia feroce e gli improperi nei riguardi di chi guidava fatto, buttando giù guardrail e pezzi di umanità inconsapevole. Ostinato e cocciuto ritorna l’eco: ognuno decide della propria salute, è libero di farsi del male, senza intromissioni da parte dello stato. Però esistono i diritti e i doveri, di essere salvaguardato come cittadino, di non pesare sulla collettività a causa delle mie scelte. Credo occorra maggiore rispetto per chi non ce la fa, per chi non ha imparato ancora a vivere, il resto è davvero retrovia di ogni ideologia. Siamo il paese dei minori allo sbaraglio, quali maggiori consumatori di cannabis, adolescenti e spinelli che è illegale farsi, ma domani che sarà legalizzata, ci rassicurano i saggi e sapienti, i giovani rimarranno fuori dal consumo autorizzato, ma continueranno a fumare e tirare, con l’aggravio evidente di un mercato parallelo assai più devastante. Siamo il paese delle mafie, delle organizzazioni criminali, delle politiche antimafie: legalizzando toglieremo mercato alle organizzazioni antistato, ben sapendo che non sarà così, perché tutte le mafie hanno grande capacità di riciclarsi, la storia ce lo insegna a chiare lettere. Pensiamo a legalizzare morte, mentre i maggiori sfaceli accadono dentro le nostre belle e tranquille quattro mura, dove rimane a fare da cubista diroccata la famiglia, dove i ragazzi sono alla catena del messaggio istantaneo, dentro una scuola solitudinarizzata e messa in disparte, ebbene troviamo tempo e modo per delocalizzare attenzione e solidarietà costruttiva, attraverso un effetto spostamento caratteristico, così la buttiamo sulla Maria e sulla Giovanna. Siccome non siamo mai sazi di parole e di spari alle spalle, c’è anche chi invita a legalizzare la cocaina se vogliamo vincere la battaglia contro la droga. Come ci dice qualcuno mai stanco di essere-farsi testimone del nostro tempo: “c’è necessità di buone a valide ragioni, non solamente di leggi, ma di presenze adulte che sappiano parlare e accompagnare con cuore”.