In Italia l’educazione per gli adulti è lontana dal compiersi. Ma quel che è più grave è che latita nelle regioni dove vi sarebbe più bisogno. Come in Sicilia, dove il numero di disoccupati e di cittadini che hanno lasciato i banchi prima del tempo è sopra il livello di guardia, ma al contrario di quel che sostiene il regolamento nazionale, approvato oltre un anno fa, non è stato ancora attivato un centro di formazione per adulti. In Italia appena il 6,6% degli adulti tra i 25 ed i 64 anni ne usufruisce. È una vera miseria, basta ricordare che in Spagna gli adulti che seguono un corso di studi sono il 10,7%.
Il quadro nazionale è davvero desolante: da una ricerca realizzata dall’Anief sulle scuole tagliate negli ultimi due anni è emerso che nel nostro paese ogni Regione potrebbe contare in media su 7 Centri territoriali permanenti, per un totale di 144 Cpia complessivi. Ma la distribuzione è tutt’altro che omogenea: Il valore più alto degli adulti che studiano si riscontra al Centro (7,6%) e quello più basso al Sud (5,7%). Oltre alla Campania, ci sono anche Molise, Umbria e Veneto a non poter contare nemmeno su un centro formativo per adulti. Eppure la Campania è la Regione dove nel 2011 su 100 persone da 20 a 64 anni residenti neppure 43 lavoravano. E sempre in Campania, dati Istat fine 2013, sono concentrati tantissimi Neet: i giovani che non seguono percorsi formativi e non lavorano hanno raggiunto il 35,4%. I non occupati sono quasi 700mila, di cui 225mila di età compresa tra i 15 e i 24 anni. Mentre, paradossalmente, in Lombardia, dove la presenza di Neet è decisamente più bassa (16,2%), sono stati attivati ben 20 Centri territoriali permanenti.
“Si tratta di una contraddizione davvero inspiegabile – dice Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir –, un paradosso tutto italiano sul fronte dell’istruzione e del lavoro giovanile: come si fa a non attivare nemmeno un centro per la formazione degli adulti proprio in Campania, dove abbondano disoccupati e Neet? E dove i diplomati, ci ha detto l’Istat, sono appena il 47%, contro una media nazionale di 9 punti percentuali superiore, addirittura quasi 20 punti in meno rispetto a Lazio, Umbria e la provincia di Trento, dove a concludere con successo le superiori sono il 65% dei giovani?
“E, ancora, come si fa a lasciare al loro destino quel 22 per cento di giovani che escono prematuramente dal sistema scolastico campano? La realtà è che mentre si continua a parlare di istruzione permanente, in Italia nel 2014 ancora non esiste un’alternativa ai canali formativi tradizionali. Eppure le norme esistono e – conclude il sindacalista Anief-Confedir – i numeri indicano chiaramente che il successo formativo è legato a doppio filo con quello professionale-occupazionale”.
È significativo che nel 2010 in Europa il 39% dei Neet tra i 25 e i 29 anni aveva un modesto livello di istruzione (licenza media), il 44% una formazione di secondo livello (diploma di maturità), e solo il 17% una formazione di livello terziario (laurea). Un dato che conferma, se ve ne era ancora bisogno, che il livello formativo conseguito incide pesantemente sull’occupazione dei giovani. Solo i nostri governanti non sembrano accorgersene. A costo di disapplicare la legge.
Perché lo scorso anno, il 25 febbraio 2013, sono stati pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale 47/2013 gli 11 articoli del D.P.R. 263/2012 contenenti il Regolamento sul funzionamento dei “Centri provinciali per l’istruzione degli adulti”, al fine di introdurre “le norme generali per la graduale ridefinizione, a partire dall’anno scolastico 2013-2014 e comunque entro” il “2014-2015”, specificatamente per la definizione del loro “assetto organizzativo e didattico”.
Nello D.P.R. 263/12 è stata prevista l’attivazione di “un comitato di verifica tecnico-finanziaria composto da rappresentanti del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca e del Ministero dell’economia e delle finanze, con lo scopo di monitorare il processo attuativo” dell’introduzione degli stessi Cpia. Questo organismo di esperti, presieduto dal professor Tullio De Mauro e nominato dagli ex ministri Carrozza e Giovannini, rispettivamente dell’Istruzione e del Lavoro, ha affrontato la problematica, giungendo anche a formulare delle ipotesi di intervento.
Come lo sviluppo delle università della terza età, ma soprattutto l’attivazione di luoghi dell’apprendimento culturale collettivo all’interno delle scuole ("Fabbriche della Cultura" sul modello “olivettiano”) aperti anche il pomeriggio e il sabato per favorire nuove iniziative di learning by doing, accogliere corsi e seminari di aggiornamento, agevolare l’accesso alle biblioteche scolastiche, introducendo anche una piattaforma di networking.
L’obiettivo primario di questo progetto sarebbe stato quello di far conseguire dei titoli di studio di primo e di secondo livello, attraverso dei patti formativi individuali, in grado di valorizzare le competenze già acquisite e di conciliare i tempi del lavoro e della famiglia. Con i centri per adulti che sarebbero dovuti diventare una risposta concreta per centinaia di migliaia di Neet. Ma anche per la riqualificazione professionale di chi ha perso lavoro, un luogo in cui favorire l’alfabetizzazione linguistica per gli stranieri e la formazione nelle carceri, rispondendo ad un bisogno diffuso di coesione sociale.
A distanza di oltre un anno dall’approvazione del regolamento che ha disciplinato l’educazione degli adulti, però, dei decreti attuativi del regolamento non vi è traccia. Tanto è vero che la stampa specializzata ha ravvisato che in Italia il numero di adulti che si formano “è molto debole, coinvolgendo solo il 6,6% del potenziale pubblico”: appena 144 centri per adulti, seppure 45 in più di due anni prima, appaiono davvero pochi. Ed è ancora più grave che risultino ancora tutti privi di dirigenza scolastica. Il messaggio è chiaro: ancora una volta l’educazione per gli adulti deve attendere tempi migliori.