Al di là degli annunci-spot del premier Renzi e del Ministro Giannini, che non perdono giorno per dire che la scuola uno dei settori principali su cui il Governo intende investire perché è da lì che bisogna rilanciare l’Italia, la svolta nel settore dell’istruzione pubblica ancora non c’è stata: il prossimo anno scolastico gli studenti iscritti saranno ben 33.997 in più di quello attuale. Tuttavia, per effetto del blocco all’organico di diritto previsto dalla Legge n. 122/2102, il numero degli insegnanti sarà sempre lo stesso: 600.839. Ora si scopre che in alcune zone d’Italia saranno anche di meno: in Sicilia, ad esempio, si perderanno più di 500 insegnanti, mentre in Lombardia ve ne saranno 420 in più. L’anticipazione giunge in queste ore dalla rivista specializzata ‘Orizzonte Scuola’, che ha pubblicato un quadro riassuntivo, suddiviso per regioni e ordine di scuola, sugli organici degli insegnanti 2014/15 messi a confronto con quelli dell’anno in corso.
La rivista ha rilevato che “come nel gioco delle tre carte, poiché gli organici non possono essere modificati e gli alunni in talune regioni aumentano, spostiamo cattedre da una regione all’altra. A saldo invariato”. Ma se il totale rimane immutato, c’è comunque chi guadagna. E, inevitabilmente, chi perde. Peccato che a perdere insegnanti saranno solo le regioni del Sud: nel prossimo anno scolastico si perderanno 14 cattedre in Abruzzo, 58 in Basilicata, 183 in Calabria, 387 in Campania, 33 in Molise, 340 in Puglia, 27 in Sardegna, 504 in Sicilia. Tranne l’Umbria, che perderà comunque appena 11 posti, tutte le altre regioni del Centro-Nord avranno invece un numero maggiore di docenti.
L’associazione sindacale Anief ritiene iniqua e pericolosa questa politica avviata dal Miur da almeno sette anni: scorrendo gli ultimi dati forniti dalla Ragioneria Generale dello Stato, si è scopre infatti che tra il 2007 e il 2012 il personale della scuola ha perso oltre 124 mila posti (facendo registrare un -10,9%): da 1.137.619 unità di personale si è passati a poco più di un milione. Con gran parte di questi posti persi che appartengono al corpo docente. Anche se il numero di alunni tra il 2009 e il 2012 è aumentato di 90.990 unità, quello degli insegnanti si è ridotto del 9% passando “da 843 mila a 766 mila: una riduzione – ha rilevato di recente la Fondazione Agnelli – che ha toccato in eguale misura tutti i gradi scolastici, con l’eccezione della scuola dell’infanzia, e ha riguardato in modo più vistoso i docenti con un contratto a tempo determinato (-25%), mentre quelli di ruolo sono scesi del 6%”.
Sempre dal rapporto della Fondazione Agnelli è emerso che, soprattutto a seguito delle “misure volute dai ministri Gelmini e Tremonti con la legge 133/2008”, sono state riscontrate “importanti differenze regionali, con province del Sud, dove la popolazione studentesca è in forte calo, che hanno registrato diminuzioni dei docenti di ruolo fino al 18%”. I tagli maggiori al corpo docente di ruolo hanno riguardato tutte province del Sud: Frosinone, Matera, Avellino, Messina, Catanzaro, Cosenza, Potenza, Nuoro, Reggio Calabria e Isernia.
Inoltre, scorrendo l’ultimo rapporto territoriale Abi–Censis, realizzato su dati Istat, si scopre che l’area dove lo “squilibrio socio-economico” è maggiore è quella del Mezzogiorno. E lo stesso, tranne rare eccezioni, vale per quelle che hanno il più “basso tenore di crescita” a livello di “potenzialità rurale” o che sono “a rischio involuzione”. Mentre i territori dove c’è maggiore possibilità di crescita e sviluppo sono quelli del Nord, in particolare il Friuli, il Trentino, il Veneto, la Lombardia e il Piemonte. Con il settentrione che fa quindi “da traino”.
Il problema è che si stanno sottraendo docenti proprio dove ce ne sarebbe più bisogno: se si consulta il Focus del Miur sulla “dispersione scolastica”, si scopre che le zone dove gli alunni iscritti, sia nella scuola di primo che di secondo grado, presentano un “maggior rischio di abbandono” scolastico prima dei 16 anni sono ancora una volta Sud e Isole: Sardegna, Sicilia, Calabria, Basilicata, Puglia, Campania, Molise e Abruzzo. E, per chiudere il cerchio, Anief-Confedir ha rilevato, attraverso un apposito dossier sul fenomeno dei Neet, che complessivamente in Italia vi sono 2 milioni 250 mila giovani tra i 15 e i 29 anni, 23,9% di quella fascia d’età: il numero di gran lunga maggiore di giovani che non lavorano e non studiano è radicato sempre Sud. Con zone dove riguarda ormai un giovane su due.
Secondo Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir, “sugli organici degli insegnanti ancora un volta si è persa un’occasione per combattere l’altissima dispersione e abbandono scolastico al Sud. Dove, si continuano a perdere alunni e cattedre in misura doppia, a volte tripla, rispetto alle indicazioni dell’Unione Europea. È tutto dire che il Cnel, elaborando dei dati Istat, ha denunciato che se in Italia il ciclo formativo si interrompe già molto presto, il 18,2% dei giovani con meno di 16 anni rispetto al 12,3% della media europea, al Sud, in particolare in Sicilia, Sardegna e Campania, un giovane su quattro lascia precocemente gli studi. Esemplare quanto accade in alcune province, come quella di Napoli, dove negli istituti tecnici la percentuali di studenti che risultano dispersi nel quinquennio supera il 45%. E il Ministero che fa? Riduce il corpo insegnante: è incredibile”.
Tutti questi dati dimostrano che gli attuali criteri sulla formazione dell’organico dei docenti, derivanti dal D.P.R. 81 del 2009, con gruppi-classi che possono raggiungere 27-28 alunni, non possono essere adottati nelle aree disagiate e a rischio. Per il Sud, in particolare laddove il disagio socio-economico è maggiore, occorre introdurre degli organici con parametri diversificati rispetto alle altre aree del Paese. E per questo occorre prevedere delle risorse aggiuntive, ad iniziare da un diverso rapporto docenti-studenti, facendo così cadere l’unicità degli organici e della formazione delle classi.
“Bisogna finirla con la costituzione degli organici dei docenti avendo come riferimento solo i numeri degli iscritti”, ricorda Pacifico. “Perché le istituzioni scolastiche non sono fabbriche dove si costruiscono robot: non si può pensare di comparare i giovani che studiano a degli operai. Anche la più recente giurisprudenza sul dimensionamento scolastico, che tanto per cambiare ha penalizzato il Sud, ha confermato questa linea: il numero di scuole e di alunni va rapportato alle esigenze territoriali, tanto è vero che la competenza rimane esclusiva degli enti locali. A fronte, del resto, di un maggior tasso di abbandono scolastico, di Neet e di flussi migratori particolarmente accentuati, è evidente – conclude il rappresentante Anief-Confedir – che va ripensata la modalità di costituzione del servizio formativo pubblico”.