Gv 11,32-45
Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: "Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!". Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, domandò: "Dove lo avete posto?". Gli dissero: "Signore, vieni a vedere!". Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: "Guarda come lo amava!". Ma alcuni di loro dissero: "Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?". Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. Disse Gesù: "Togliete la pietra!". Gli rispose Marta, la sorella del morto: "Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni". Le disse Gesù: "Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?". Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: "Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato". Detto questo, gridò a gran voce: "Lazzaro, vieni fuori!". Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: "Liberàtelo e lasciàtelo andare". Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui.
di Ettore Sentimentale
Anche per questa settimana propongo un “ritaglio” rispetto all’intera pericope (Gv 11,1-45). Si tratta di un brano tratto dal racconto in cui l’evangelista Giovanni presenta Gesù come “la risurrezione e la vita” (Gv 11,25), di fronte alla morte dell’amico Lazzaro.
Chiaramente in questa sede non è possibile cimentarsi in un commento ben articolato che faccia emergere tutte le peculiarità del brano, tuttavia offrirò qualche pista di riflessione circa l’atteggiamento dell’uomo contemporaneo di fronte alla morte.
Contrariamente a come avveniva in passato, oggi l’uomo evita di pensare alla morte, vivendo come se fosse eterno. Basta però che ritiri un referto delle analisi mediche negativo per farlo entrare nel vortice della depressione e della ribellione. Di colpo si aprono orizzonti impensati che gli fanno chiedere: come agire di fronte alla morte?
Il vangelo che stiamo prendendo in considerazione ci offre la possibilità di osservare cosa ha fatto Gesù di fronte alla malattia e alla morte del suo amico Lazzaro: ha pianto e ha avuto fiducia in Dio. Il Signore Gesù vedendo piangere le sorelle di Lazzaro e gli amici che le accompagnavano, si commuove pure lui (per ben tre volte nel brano riportato sopra). A tale vista i Giudei esclamano: “Guarda come lo amava!”. Il Maestro è molto “umano”, partecipa profondamente e sinceramente alla sofferenza degli uomini, ha molta “com-passione” perché coglie la distanza fra il dolore degli uomini e la vita che Dio desidera per i suoi figli.
L’atteggiamento di Gesù però non si ferma alle lacrime, ma afferma che “questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio” (Gv 11,4), espressione dalla quale trasuda tutta la sua fiducia in Dio. Come Lazzaro, prima o poi, ogni uomo morirà perché nessuno può sfuggire alla morte. Dio, però, è più forte della morte e ci chiede di confidare in lui.
Come si può avere fiducia in Dio di fronte alla morte di una persona cara che (normalmente) scatena rabbia e impotenza? Il brano evangelico offre una pista praticabile a questo angoscioso interrogativo. S. Giovanni, infatti, non intende tanto raccontare un fatto, anche se strepitoso, quanto aiutare i suoi lettori (e oggi siamo noi!) ad alimentare la fede nella Risurrezione fin da ora, perché Dio è capace di dar vita a coloro che “ci hanno preceduto nel segno della fede e dormono il sonno della pace”. La conclusione della pericope è chiara: “Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui”.
Concretamente si tratta di ubbidire all’invito del Signore di “togliere la pietra dal sepolcro” e lasciare la porta aperta tra noi e Dio…Fuori metafora significa non accettare di “vivere da morti”, cioè vivere intensamente le gioie e le speranze, le fatiche e le attese di questo mondo ma con il desiderio di contemplare un orizzonte infinito, quello divino dal quale proveniamo e verso il quale siamo incamminati.
Per coloro che volessero verificare la validità di tale affermazione, propongo un “piccolo esercizio”: provate ad analizzare il vostro “rapporto” con le persone care che sono morte. Spesso avviene che il ricordo prima sia molto intenso e poi vada scemando per arrivare quasi a scomparire. La Scrittura insegna, però, che per il cristiano la morte non è un perdersi nel vuoto, ma un entrare nella salvezza di Dio, al cospetto del suo amore immenso. Possiamo quindi concludere che i nostri defunti “non sono morti”, ma vivono la pienezza di Dio. Se da un lato nei loro confronti percepiamo la tristezza del distacco, dall’altro dobbiamo essere sicuri che ci amano più di prima, perché lo fanno dimorando “nel Signore”. Alla base di tutto questo c’è il sostegno che Gesù dà alla nostra fede: "Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?".