Il diritto dell’Unione definisce la cerchia dei membri della famiglia dei cittadini di Stati terzi soggiornanti in uno Stato membro che possono beneficiare di un permesso di soggiorno a titolo di ricongiungimento familiare. Per quanto riguarda il coniuge, al fine di assicurare una migliore integrazione ed evitare i matrimoni forzati, la direttiva 2003/86/CE prevede che gli Stati membri possano imporre un limite minimo di età (pari al massimo a ventuno anni) per effettuare il ricongiungimento familiare. Essa non specifica però il momento in cui il soggiornante ed il suo coniuge devono aver raggiunto tale limite minimo di età.
A termini della legge austriaca, il limite di età di ventuno anni deve essere necessariamente raggiunto dai coniugi al momento della presentazione della domanda di ricongiungimento familiare. Una domanda presentata prima che entrambi i coniugi abbiano compiuto ventuno anni deve essere respinta anche se essi raggiungono tale età nelle more del procedimento.
Nel settembre 2010, la sig.ra Noorzia, una cittadina afghana, ha presentato all’ambasciata d’Austria a Islamabad (Pakistan) una domanda di permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare con il marito, anch’esso cittadino afghano residente in Austria. Tale domanda è stata respinta dalle autorità austriache in quanto quest’ultimo non aveva compiuto ventuno anni al momento della presentazione di detta domanda, pur avendo peraltro raggiunto tale età prima dell’adozione della decisione di rigetto. La sig.ra Noorzia ha proposto ricorso contro tale decisione negativa. Del caso è stato investito il supremo giudice amministrativo austriaco (Verwaltungsgerichtshof) il quale chiede alla Corte di valutare la compatibilità della normativa austriaca con la direttiva sul ricongiungimento familiare.
Nelle sue conclusioni odierne, l’avvocato generale Paolo Mengozzi sottolinea innanzitutto che il diritto al ricongiungimento familiare, riconosciuto e disciplinato dal diritto dell’Unione europea, costituisce un profilo specifico del diritto al rispetto della vita familiare il quale, a sua volta, è un diritto fondamentale consacrato non solo dalla Convenzione europea dei diritti dell’Uomo, ma anche dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE.
La giurisprudenza della Corte ha già chiarito che l’autorizzazione al ricongiungimento familiare costituisce la regola generale e poiché, in determinate ipotesi, la direttiva impone agli Stati membri di autorizzare il ricongiungimento senza margini di discrezionalità, a tale obbligo corrispondono diritti soggettivi chiaramente definiti. Peraltro, l’eventuale discrezionalità riconosciuta agli Stati membri non deve essere esercitata in modo tale da pregiudicare l’obiettivo della direttiva stessa, né il suo effetto utile.
L’avvocato generale ritiene che un’analisi letterale della disposizione pertinente della direttiva deponga in favore di un’interpretazione secondo cui il momento rilevante per il raggiungimento del limite di età ivi previsto non possa essere quello della presentazione della domanda di ricongiungimento familiare, bensì quello dell’accettazione da parte dell’autorità competente.
Egli rileva poi che benché lo scopo esplicito della possibilità attribuita agli Stati membri di prevedere un limite minimo di età per effettuare il ricongiungimento familiare sia quello legittimo di prevenire i matrimoni forzati – sulla base della considerazione che un’età maggiore comporti un più alto livello di maturità il quale potrebbe, in teoria, aiutare la persona a resistere alle pressioni per contrarre un matrimonio forzato –, tale scopo deve però essere controbilanciato con il diritto al ricongiungimento familiare di coloro che si sono sposati sinceramente e genuinamente. Un’interpretazione della direttiva che permetta di introdurre la domanda prima del raggiungimento del limite di età e di ottenere il permesso di soggiorno nel caso in cui siffatto limite sia stato raggiunto al momento dell’adozione della decisione dell’amministrazione sulla domanda di ricongiungimento familiare va nel senso di un favore per il ricongiungimento familiare, evitando un’interpretazione formalista della norma che ne ostacola la realizzazione.
Infine, da un’analisi sistematica dell’insieme della direttiva, non risulta nessuna sua disposizione che stabilisca che il raggiungimento del limite di età ivi previsto costituisce una condizione formale di presentazione della domanda.
Per tutte queste ragioni, l’avvocato generale suggerisce alla Corte di giudicare che la norma austriaca che permette di rigettare una domanda di ricongiungimento familiare per mancato raggiungimento del limite di età per l’esercizio del relativo diritto, ancorché, al momento dell’adozione della decisione da parte delle autorità, tale limite di età sia stato raggiunto, è incompatibile con la direttiva sul ricongiungimento familiare.