Il 92% delle donne e l’87% degli uomini che affrontano un percorso di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) conoscono il significato di fecondazione eterologa, sebbene il 13% del campione maschile pensa che equivalga ad “avvalersi di un utero in affitto”. Anche sulla questione dell’anonimato dei donatori di gameti, gli intervistati sembrano avere le idee chiare: va mantenuto per il 62% del campione femminile e per il 75% di quello maschile. Molta indecisione, invece, riguardo alla retribuzione degli stessi. Alla domanda “Pensa sia giusto che la donatrice o il donatore siano retribuiti per questa tecnica?” il campione risponde in maniera frammentata e la maggioranza non si pronuncia, preferendo un generico “non so” (38% uomini; 58% donne), sebbene il campione maschile sia meno propenso alla retribuzione (37% risponde NO), rispetto a quello femminile (il 17% risponde NO) Questi alcuni dei risultati dell’indagine condotta su 100 coppie infertili afferenti al Centro di Infertilità GENESIS e presentati oggi nel corso del IV Corso di Medicina della Riproduzione “Infertilità inspiegata”, diretto dal Professor Claudio Manna, Direttore Scientifico del Centro GENESIS di Roma e ricercatore presso l’Università Tor Vergata di Roma.
“I dati emersi confermano che – sottolinea il Professor Claudio Manna – le coppie non sono ancora preparate al meglio sulle questioni riguardanti la fecondazione eterologa e, in generale, su infertilità e PMA; risulta, quindi, fondamentale diffondere un’informazione corretta sulle opportunità che si profilano nel nostro Paese per le coppie infertili, soprattutto alla luce della recente sentenza della Corte Costituzionale che ha abolito il divieto di eterologa, cambiando radicalmente il panorama della PMA in Italia”. L’indagine si è inoltre posta l’obiettivo di indagare lo stato d’animo delle coppie con problemi di infertilità. È emerso che nel momento in cui si cerca la gravidanza e questa non arriva, la speranza nei tentativi successivi è il sentimento più diffuso (38% nelle donne e 50% negli uomini); interessante notare che il 23% del campione femminile ammette di essersi sentito in colpa, sentimento estraneo agli uomini. Per una percentuale pari a 12, però, gli intervistati maschi dichiarano di aver provato “ostilità nei confronti del partner”, contro lo 0% delle donne. La speranza è il sentimento ricorrente anche nel momento in cui si accede ad un percorso di PMA (55% donne; 87% uomini) accompagnato dalla paura per il 29% delle donne e da confusione per entrambi i partner (13% uomini; 16% donne). Al centro dei lavori congressuali in corso a Roma il tema dell’infertilità inspiegata, ovvero apparentemente senza causa poiché non riconducibile ai singoli fattori che possono impedire o ostacolare il concepimento. “Sull’infertilità sine causa i dati a disposizione variano dal 10% al 35% – spiega il Prof. Manna – una crescita dovuta in parte al fatto che alcuni esami, considerati invasivi, non vengono eseguiti, in parte legati all’aumento dell’età media delle coppie. Inoltre, l’aspetto psicologico, in particolar modo lo stress, può giocare un ruolo rilevante; infatti, una volta eseguiti con accuratezza gli esami e, progressivamente, le terapie per grado di complessità, il medico deve essere in grado di ‘ascoltare’ la coppia e capirne i problemi che vanno oltre l’ambito strettamente medico. A volte è consigliabile anche l’intervento dello psicologo”. A confermare l’importanza del fattore ‘stress’ nella diagnosi di infertilità inspiegata, uno studio realizzato da ricercatori della Ohio State University College of Medicine. I ricercatori hanno analizzato campioni di saliva di 401 donne per valutare la quantità di cortisolo nel sangue e alfa-amilasi nella saliva quali indici dello stress prodotti dall’organismo. I risultati hanno evidenziato che le donne con più alti livelli di alfa-amilasi, quindi più ‘stressate’, impiegavano un tempo significativamente più lungo per ottenere la gravidanza e, inoltre, mostravano un rischio di infertilità doppio rispetto alle donne con valori minori.