“Accogliamo con molto favore il parere positivo espresso dal Consiglio d’Europa sul sistema penitenziario italiano. E registriamo passi in avanti significativi anche per quanto riguarda le condizioni di vita negli istituti penitenziari milanesi. Non abbassiamo però la guardia perché la strada è ancora lunga ed è necessario che gli osservatori europei continuino a controllare le nostre carceri”. Lo ha dichiarato la Garante dei Diritti dei Detenuti del Comune di Milano Alessandra Naldi.
“Dal mio osservatorio milanese – ha spiegato Naldi – registro alcuni segnali positivi di cambiamento. Lo scorso 27 maggio ho visitato San Vittore, uno di quegli istituti da cui erano partiti molti dei ricorsi giacenti alla Corte Europea. Ho constatato che il numero delle persone ristrette è decisamente calato, soprattutto in termini di riduzione degli ingressi in carcere, in parte grazie alle nuove norme e alla bocciatura della Legge Fini-Giovanardi. Così, oggi rispetto a un anno fa, le celle di San Vittore non ospitano più detenuti stipati all’inverosimile, con un numero di letti a castello che impediva perfino di stare in piedi tutti insieme o di aprire la finestra. Il limite della capienza a San Vittore è comunque oltre quella prevista e le celle progettate come singole o al massimo per due persone ne ospitano di norma tre. Inoltre, in molti reparti dell’istituto le celle restano aperte durante il giorno. Questo vuole dire che i detenuti possono muoversi almeno lungo il corridoio. Purtroppo la giornata dei detenuti è ancora vuota di attività e le persone restano abbandonate a se stesse, con servizi carenti e una condizione inaccettabile dal punto di vista igienico e strutturale”.
“Ma i cambiamenti positivi – ha continuato la Garante – si registrano complessivamente nel sistema penitenziario cittadino. Per esempio, presso la casa circondariale di Opera molte sezioni a massima sicurezza ospitano detenuti comuni e la direzione si sta dimostrando disponibile ad aprire il carcere al territorio, a un volontariato nuovo e a progetti sperimentali, così come ha sempre fatto il carcere di Bollate. Ma sappiamo bene che le prassi consolidate non si cambiano in un giorno”.
“E poi – conclude Alessandra Naldi – c’è l’annoso problema delle risorse: un detenuto costa alla collettività circa 150 euro al giorno di puro mantenimento. Forse è venuto il momento di cominciare a chiedere che almeno una piccola quota di quella cifra possa essere reindirizzata verso l’esecuzione penale esterna, in modo da avere le risorse necessarie per costruire quei percorsi penali alternativi alla detenzione che soli garantiscono la riduzione della recidiva e una maggior sicurezza per la collettività. Così come è venuto il momento di cominciare a chiedere la destinazione di nuove risorse agli enti locali che per legge sono investiti dell’assistenza sociale delle persone in difficoltà e quindi di molte delle persone che escono dal carcere e che hanno bisogno di tutto per non tornare a delinquere: casa, lavoro, assistenza”.