Il 16 giugno si è consumato uno dei giorni più neri per le tasche dei cittadini e delle aziende italiane: nelle prima parte della giornata hanno dovuto fare i conti con una serie di scadenze fiscali – la Tasi, la Tari, l’Imu, l’Irpef, l’Irap e l’Iva – che non ha eguali al mondo; poi, nel pomeriggio, hanno appreso da Eurostat che tra il 2011 e il 2012 l’Italia è stato in Europa il Paese che, dopo l’Ungheria, ha conosciuto l’aumento maggiore della tassazione rispetto al Pil.
I nuovi dati pubblicati oggi da Eurostat indicano che, sempre nel 2012, la tassazione nel nostro Paese è arrivata a livelli da record, passando dal 42,4% al 44%: rispetto al 2002 l’Italia ha aumentato il rapporto tassazione/pil di 3,5 punti percentuali, la Germania lo ha diminuito di 0,2%, la Francia lo ha aumentato dell1,7%, la Spagna lo ha diminuito dell’1,6%.
“Viene da chiedersi – commenta Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – a cosa sia servito tagliare del 10 per cento i posti in organico della Pubblica Amministrazione negli ultimi anni, a discapito di un aumento della spesa pubblica. È stata chiaramente un’operazione fallimentare. Perché non ha portato benefici alla collettività, sotto forma di tasse, che invece sono aumentate, e ha ridotto la qualità dei servizi pubblici. Anche perché contemporaneamente la PA ha dovuto anche fare i conti con il blocco del turn over, che ha comportato una lievitazione del numero dei precari: oggi sono 250mila, la metà dei quali nella scuola”.
Con la pressione fiscale che ha raggiunto livelli record, Anief-Confedir ritiene quindi ancora più preoccupanti le prospettive di riforma della PA, presentate giovedì scorso da Ministro della Funzione Pubblica, Marianna Madia, già approvate nei giorni scorsi con decreto legge dal Consiglio dei Ministri: non c’è alcun cenno alla problematica dell’enorme mole di precariato che opera per ministeri ed enti locali, non si fa accenno agli stipendi sempre più al di sotto del tasso di inflazione. Mentre si pensa di risolvere i problemi trasferendo da un settore all’altro (in modo obbligatorio, quanto illegittimo) gli statali che risultano in posizione di soprannumerarietà.
“Non si comprende che continuare a tenere bloccato il contratto, invece di approvare un aumento del 5% su tutti gli stipendi a partire dal 2010 per coprire almeno il gap sull’inflazione, rappresenta un’operazione di ulteriore deperimento della spesa: come fanno le famiglie a risollevare il mercato se percepiscono stipendi fermi ai valori di cinque anni fa? Gli ultimi Governi hanno fatto a gara per appesantire la situazione fiscale: nella scuola, ad esempio, dal 1° gennaio 2011 lo Stato ha deciso di applicare illegittimamente la trattenuta del 2,5% dallo stipendio per l’accantonamento del trattamento di fine rapporto (il cosiddetto Tfr). E che dire – conclude amaramente Pacifico – del mancato adeguamento all’inflazione delle pensioni superiori ai 1.400 euro al mese?”.