di Alessandro Fumia
Immagina puoi, un motto pubblicitario? No, ci mancherebbe, un sogno, una visione da regalare alla città sfortunata Messina. Una città che non riesce ad allontanare da sè, il calice amaro. Quasi condannata a celebrare come una pratica religiosa, il rituale del suicidio collettivo. Messina negli ultimi cento anni, si è autoprogrammata il rituale del calice avvelenato. Come se partecipassimo a una gara, dove ci stanno tre categorie di partecipanti: il vincente per antonomasia il cavallo migliore, lo sfigato per antonomasia, il cavallo peggiore e il suicida per antonomasia il cavallo che non doveva manco nascere, quello destinato al macello. Ebbene Messina, riesce sempre a scegliere il suicidio. Dovessimo programmare una lotteria con 100 bussolotti pescando il bussolotto della vita, Messina pescherebbe sempre lo stesso; cambiano i fattori e i personaggi, ma fra il panorama dei competitors Messina sceglie sempre il peggio. Certo, quando sceglie non lo sa a che cosa va incontro, sembra una predisposizione. Tutta colpa del Radon evidentemente. Scegliere non è mai facile, i messinesi però, in quest’arte non hanno eguali. Una rarità, una precarietà. Quasi un unicum diverso dal tutto, un’isola che non c’é ma, che è esistente. Se io avessi un amico così sfigato, quasi quasi ne prenderei le distanze perchè prima o poi, trasmetterebbe la sua sfiga a me, passami il paragone. Messina invece, si lega così strettamente ai suoi amici di viaggio, che programma il suo destino. Lo fa inconsapevolmente; ma lo fa, questo è il problema.