La Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato all’unanimità l’Italia per violazione dell’art. 3 (per aver esposto il ricorrente al rischio di trattamenti inumani o degradanti). Si tratta di una sentenza molto attesa, che certamente suscitaterà un giusto clamore mediatico e numerose reazioni politiche sostiene Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”. La sentenza della Grande Camera, che è definitiva, è infatti una di quelle destinate a restare nella memoria e stabilisce che lo Stato italiano dovrà risarcire un cittadino che lamenta di essere stato picchiato dalle forze dell’ordine: non risulta compiuta dalla magistratura un’approfondita indagine. I fatti da cui il caso traeva origine riguarda un nostro italiano che sostiene di essere stato picchiato dai carabinieri dopo l’arresto. Nella sentenza si rileva che le lesioni riportate dal cittadino italiano residente a Verona, in seguito al suo arresto avvenuto in un bar nel marzo 2010, non sono compatibili, come sostenuto dalle autorità italiane, con un uso legittimo della forza da parte dei carabinieri. Per tali ragioni ottiene 15 mila euro di danni morali. La Corte di Strasburgo ha condannato le autorità di Roma per la violazione dell’articolo 3 della convenzione europea dei diritti umani, che proibisce i trattamenti inumani o degradanti: la magistratura non ha condotto un’inchiesta approfondita per determinare le loro responsabilità. I giudici sottolineano inoltre che le lesioni riportate dall’uomo, la frattura di tre costole e un ematoma al testicolo sinistro, non sono compatibili neanche con la tesi che l’arrestato se le sia inflitte da solo, come dicono le forze dell’ordine. Secondo i giudici di Strasburgo poi la magistratura non ha condotto «un’inchiesta effettiva» per verificare se la denuncia di maltrattamenti dell’uomo fosse confortata dai fatti. I giudici italiani hanno sposato la tesi di un uso appropriato della forza da parte dei responsabili delle forze dell’ordine, concentrandosi su quanto era successo durante l’arresto, invece che su quanto è accaduto nelle quattro ore tra l’arresto e quando il cittadino è arrivato al carcere di Verona, in cui la Corte ritiene siano avvenuti i maltrattamenti.