Nel 1995, con l’enciclica “Evangelium vitae”, il “Vangelo della vita”, Papa Wojtyla sfida la rivoluzione antropologica, fondata sul prevalere di presunti diritti, o meglio desideri della persona. In particolare il presunto diritto più eclatante, era quello di poter abortire il figlio non voluto. Un diritto diventato legge nella grande maggioranza degli Stati occidentali e quindi in Italia, con l’approvazione della legge 194, proprio pochi giorni dopo l’attentato del 13 maggio 1981. La Chiesa sceglieva di stare dalla parte dell’uomo, del suo essere e del suo esistere, contro quelle ideologie, che nel corso della modernità avevano appoggiato “la battaglia del diritto della donna all’autodeterminazione nei confronti del concepito che portavano in grembo”.
Secondo Marco Invernizzi, con Giovanni Paolo II la battaglia per la vita umana diventa centrale anche perché proprio durante “il suo pontificato si verificò quel cambio epocale, dal punto di vista del paradigma culturale, che ha contrassegnato il passaggio dalla modernità alla cosiddetta postmodernità, ossia il passaggio dalla ‘questione sociale’ alla ‘questione antropologica’. (M. Invernizzi, San Giovanni Paolo II. Introduzione al suo Magistero, Sugarcoedizioni, 2014) Infatti scrive il Papa: “Come un secolo fa ad essere espressa nei suoi fondamentali diritti era la classe operaia, e la Chiesa con grande coraggio ne prese le difese, proclamando i sacrosanti diritti della persona del lavoratore, così ora, quando un’altra categoria di persone è oppressa nel diritto fondamentale alla vita, la Chiesa sente di dover dare voce con immutato coraggio a chi non ha voce. Il suo è sempre un grido evangelico in difesa dei poveri del mondo, di quanti sono minacciati, disprezzati e oppressi nei loro diritti umani”.
Nell’enciclica Papa Wojtyla passa in rassegna tutti “mali” dove è responsabile l’uomo e la cultura contemporanea: la contraccezione, l’aborto, l’eutanasia, la riproduzione artificiale. “L’umanità di oggi – scrive il Papa –ci offre uno spettacolo davvero allarmante, se pensiamo non solo ai diversi ambiti nei quali si sviluppano gli attentati alla vita, ma anche alla loro singolare proporzione numerica, nonché al molteplice e potente sostegno che viene loro dato dall’ampio consenso sociale, dal frequente riconoscimento legale, dal coinvolgimento di parte del personale sanitario”. Sono molte le cause a procurare questo “spettacolo”, dalla miseria all’ignoranza, ma c’è anche, secondo il Papa, un problema culturale, sociale e politico, “dove presenta il suo aspetto più sovversivo e conturbante nella tendenza, sempre più largamente condivisa, a interpretare i menzionati delitti contro la vita come legittime espressioni della libertà individuale, da riconoscere e proteggere come veri e propri diritti.
Pertanto secondo Papa Wojtyla questi “diritti umani”, che sono “diritti inerenti a ogni persona e precedenti ogni Costituzione e legislazione degli Stati, oggi incorrono in una sorprendente contraddizione: “proprio in un’epoca in cui si proclamano solennemente i diritti inviolabili della persona e si afferma pubblicamente il valore della vita, lo stesso diritto alla vita viene praticamente negato e conculcato, in particolare nei momenti più emblematici dell’esistenza, quali son il nascere e il morire” (n. 18)
L’enciclica va alla radice di questa contraddizione, che ci ha portati alla “cultura di morte”, tra le cause, c’è il ‘concetto esasperato di soggettività’, dove diventa titolare di diritti solo chi è autonomo e non dipende da altri. Altra causa è nel concetto errato di libertà, dove si esalta in modo assoluto il singolo individuo.
Un altro aspetto per capire le radici della crisi contemporanea in merito ai temi della vita, secondo Invernizzi è il rapporto fra libertà e verità. La libertà deve sempre rispettare la verità oggettiva. Non si può assumere sempre e solo “la soggettiva e mutevole opinione o, addirittura, il suo egoistico interesse e il suo capriccio”, della persona. Questa falsa concezione della libertà, ha enormi conseguenze sul piano politico. Il corpo sociale è disgregato, gli individui fanno primeggiare solo il proprio interesse. Quindi lo Stato non è più custode del bene comune: “(…)l’originario e inalienabile diritto alla vita è messo in discussione o negato sulla base del voto parlamentare o della volontà di una parte – sia pure maggioritaria – della popolazione. E’ l’esito nefasto di un relativismo che regna incontrastato: il ‘diritto’ cessa di essere tale, perché non è più solidamente fondato sull’inviolabile dignità della persona, ma viene assoggettato alla volontà del più forte. In questo modo la democrazia, ad onta delle sue regole, cammina sulla strada di un sostanziale totalitarismo”. Pertanto scrive Papa Wojtyla, “lo Stato non è più la ‘casa comune’ dove tutti possono vivere secondo principi di uguaglianza sostanziale, ma si trasforma in Stato tiranno, che presume di poter disporre della vita dei più deboli e indifesi, dal bambino non ancora nato al vecchio, in nome di una utilità pubblica che non è altro, in realtà, che l’interesse di alcuni” (n.20)
Per Giovanni Paolo II esiste una vera e propria battaglia fra la “cultura della vita” e la “cultura della morte”, chi sta con la seconda cultura ha perso il senso di Dio e dell’uomo. In questo contesto di scontro drammatico tra le forze del bene e quelle del male, ogni uomo si trova coinvolto e costretto a scegliere.
La Chiesa ha sempre condannato l’omicidio come uno dei peccati più gravi, tuttavia esistono circostanze in cui il Comandamento “Non uccidere” tollera delle eccezioni, come nel caso della “legittima difesa”, come quando chi ha il dovere di difendere le vite delle persone che dipendono da lui – per esempio, la famiglia o la comunità civile – non riesce a farlo se non colpendo l’aggressore, a volte anche uccidendolo. Certamente l’”Evangelium vitae”, ha lo scopo di ribadire in modo solenne, il carattere sacro della vita umana innocente e l’impegno costante della Chiesa per salvaguardare in ogni circostanza il diritto alla vita.
Il Papa affronta la questione dell’aborto procurato e legalizzato, una questione tra le più delicate che divide l’opinione pubblica e le forze culturali in modo netto. Giovanni Paolo II, innanzitutto ci invita a chiamare le cose con il loro nome, senza ipocrisie, citando espressamente l’ambiguità dell’uso del termine “interruzione della gravidanza” da parte delle legislazioni abortiste per indicare l’omicidio di un essere umano innocente e indifeso. In pratica l’aborto è un omicidio. Ma il pontefice, secondo Invernizzi, va oltre e indica alcuni responsabili precisi che favoriscano la diffusione di mentalità e legislazioni abortiste. Tra questi i legislatori, gli amministratori delle strutture sanitarie. In generale chi ha favorito “il diffondersi di una mentalità di permissivismo sessuale e disistima della maternità, sia colosociali a sostegno delle famiglie, specialmente di quelle numerose o con particolari difficoltà economiche ed educative”.
Giovanni Paolo II insiste sulla questione culturale e politico del problema aborto, ma anche dell’eutanasia o della sperimentazione degli embrioni. Il Papa affronta “la mentalità della cultura dominante, impregnata di ‘relativismo etico’, per cui la volontà della maggioranza dei cittadini o una maggioranza parlamentare sono il criterio della verità o della moralità di un atto”. Wojtyla nel documento fa notare che “i crimini del secolo XX non cessano di essere stati tali anche se accompagnati dal consenso sociale e dal rispetto della legalità”. La democrazia, – scrive Giovanni Paolo II – non è un fine, ma solo un mezzo”. Per il Papa, “il suo carattere ‘morale’ non è automatico, ma dipende dalla conformità alla legge morale a cui, come ogni altro comportamento umano, deve sottostare(…)”.
In pratica per Giovanni Paolo II, “il valore della democrazia sta o cade con i valori che essa incarna e promuove (…)”. Papa Wojtyla pone una domanda fondamentale e interroga tutta la cultura occidentale odierna perché mette in discussione il criterio di legittimità: “su quali presupposti si fondano le comunità civili oggi? Su maggioranze mutuabili oppure su principi sempre vivi?”.
Con questo intervento concludo la mia anomala recensione al libro di Marco Invernizzi, che attraverso Radio Maria ha potuto presentare sistematicamente i passi dello straordinario pontificato di Giovanni Paolo II, commentandone gli insegnamenti nel dialogo con gli ascoltatori.
DOMENICO BONVEGNA
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