In questi anni di crisi economica abbiamo ascoltato e letto ricette più o meno valide per far ripartire il Paese-Italia. Non sono un esperto di economia o di lavoro, però forse una soluzione c’è per far ripartire l’economia e quindi l’occupazione magari giovanile del nostro Paese. Credo di averla trovata leggendo due interessanti testi scritti qualche anno fa, il primo: “Per un’Italia possibile”, attenzione al sottotitolo: “La cultura salverà il nostro Paese?”, l’ha scritto, Ilaria Borletti Buitoni, presidente del FAI (Fondo Ambiente Italiano), Mondadori (2012). Il secondo, forse più conosciuto, perché scritto a quattro mani da Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, autori de La Casta, “Vandali. L’assalto alle bellezze d’Italia”, Rizzoli (2011). In pratica il turismo culturale artistico-storico e naturalistico, attento all’ambiente potrebbe essere una risorsa formidabile per il nostro Paese. “Ci sarà una via d’uscita? Dalla crisi economica, ma non solo: da una crisi morale, che stringe questo nostro Paese contagiandolo come una malattia e provocando in molti cittadini smarrimento, preoccupazione e anche senso di tristezza, un malessere costante” E’ la domanda che in questi mesi molti italiani si saranno certamente fatta, scrive la Borletti Buitoni. In poche pagine la studiosa tenta alcuni suggerimenti precisi e attuabili, che potrebbero consentire quel cambiamento necessario e favorire la tanta auspicata crescita, soprattutto in quelle regioni che hanno perso la loro vocazione produttiva valorizzando la potenzialità turistica. La presidentessa del Fai fa una premessa elementare: “quando a una famiglia che ha perso quasi tutto rimane solo la casa, deve cercare di mantenerla al meglio, perché se l’abbandona, lasciandola cadere a pezzi, alla fine non rimarrà nulla da cui ripartire. Lo stesso ragionamento vale per il nostro paesaggio, per il nostro patrimonio d’arte e di natura: la casa degli italiani, dalla quale ripartire per ritrovare non solo un senso della propria identità e forse anche l’orgoglio di un’appartenenza, ma anche la strada verso un nuovo modello di sviluppo più radicato sul territorioe che tenga conto dell’ambiente”. Per fare questo naturalmente occorre che tutti, dalle istituzioni ai cittadini, convergono verso un obiettivo comune condiviso: “preservare prima di valorizzare perché la promozione del nostro patrimonioculturale è incompatibile con l’incuria e la devastazione, una strada che si è perseguita negli ultimi vent’anni in buona parte del Paese”. La situazione in cui si trova il nostro patrimonio storico, monumentale e ambientale è disastrosa. “Abbiamo trascurato per decenni i segni della nostra identità, – scrive la Borletti Buitoni – quella che per secoli il mondo ci ha riconosciuto e ha ammirato, si è rivelata una scelta sbagliata non solo per le limitazioni che ha imposto allo sviluppo di un turismo adatto al nostro Paese, ma anche soprattutto perché ha annientato qualsiasi sentimento di orgoglio nazionale del quale, oggi, in una crisi senza precedenti nella vita della mia generazione e di quelle successive, avremmo più che mai bisogno”. Peraltro la colpa di queste mancanze non si possono attribuire soltanto alla crisi economica, alla globalizzazione o ai giochi speculativi della finanza, ma ci sono responsabilità nostre. Il libro sottolinea il vizio tipico degli italiani, quello di dare la colpa sempre agli altri. E’ una costante il rimbalzo delle responsabilità per i problemi e per le continue emergenze che colpiscono il nostro territorio. Un altro vizio che l’autrice del libro sottolinea è l’accentuato individualismo degli italiani, siamo un popolo emotivo e solidale, ma troppo spesso, disattento al bene comune, nonostante il gran numero di volontari impegnati nelle varie cause sociali. Purtroppo la maggioranza degli italiani, magari è generosa per quanto riguarda certi appelli umanitari, “ma non si scandalizza se il comune patrimonio culturale viene costantemente assalito da azioni che lo danneggiano in modo irreversibile”.Pertanto secondo il presidente del Fai non è solo colpa dello Stato del degrado del nostro patrimonio culturale e ambientale, ma anche dei cittadini che non hanno una percezione del paesaggio come bene collettivo. Così i crolli di Pompei, simbolicamente investono, non solo i beni archeologici e monumentali ma l’intera penisola, rappresentano certamente la nostra decadenza. Come presidente della Fai, la Borletti Buitoni ha attraversato l’Italia e qui nel testo riporta ampia documentazione di come da Nord a Sud negli ultimi venticinque anni il paesaggio del nostro Paese è stato saccheggiato più di ogni altro stato occidentale. Il paesaggio costituisce la nostra identità, la nostra anima, il segno concreto di chi e che cosa siamo. Pertanto, scrive la studiosa, “(…) l’eccezionalità del paesaggio italiano e in un certo senso la sua unicità risiedono nel fatto che esso costituisce l’espressione di una storia millenaria assolutamente unica dovuta alla posizione geografica, alla natura e all’unione di popoli diversi: una storia difficilmente replicabile altrove”. Continua la Borletti Buitoni, “l’Italia offre peraltro un incredibile incrocio tra cultura e piacere (…) Potremmo affascinare qualsiasi persona approdi nel nostro Paese e invece, tra inefficienza, indolenza e furberie di ogni tipo, preferiamo suscitare solo un sentimento di irritazione che fa esclamare ai turisti, come fece Goethe approdato a Napoli e sconcertato dalle urla della strada: ‘gli italiani, impossibili!” Il libro fa alcuni esempi di incuria e di degrado, presenti in ogni parte del Paese, costruire nelle vicinanze di una villa romana, o una discarica a Tivoli vicino la Villa Adriana, lasciare un sito archeologico in stato di abbandono come Selinunte, assediare con modesti grattacieli la Valle dei Templi di Agrigento. Qualcuno sostiene pure che ci sono troppi siti archeologici, un numero elevatissimo di chiese, troppi musei, castelli, palazzi, borghi, parchi e tutti da proteggere. Forse occorre scegliere, ma si è scelto? Si chiede il presidente della Fai. “Si è mai ragionato sul fatto che lo sviluppo del Paese sarebbe potuto partire proprio dalla valorizzazione di questo incalcolabile patrimonio? Non lo si è fatto: anzi, sin dal dopoguerra è stato opposto il concetto di crescita a quello della tutela, come se l’una non potesse esistere se non a discapito dell’altra”.Purtroppo anche negli ambienti della cultura si è smesso di pensare al bello, perfino la stessa Chiesa cattolica, basti osservare certe chiese del postconcilio Vaticano II. Anni fa ho recensito un ottimo libro, “La bellezza salverà il mondo”, di Giovanni Fighera, pubblicato da Ares di Milano. Un libro coraggioso, che interroga la tradizione per testimoniarla nel nostro tempo. Il libro di Fighera perlustra il Bello, senza pregiudizi, utilizzando come bussola la tradizione occidentale (classica, cristiana…). Il testo inoltre intende anche approntare un’educazione all’estetica dopo l’imperversare per troppi anni della furia iconoclasta della bruttezza.
DOMENICO BONVEGNA
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