Gli alunni meno bravi e a rischio abbandono concentrati negli istituti tecnici e professionali del Sud

Al di là dei trionfalistici e superficiali commenti forniti dalla stampa nei giorni scorsi, a seguito della presentazione dei dati Invalsi di rilevazione degli apprendimenti, il divario di competenze scolastiche tra gli alunni italiani del Centro-Nord rispetto agli alunni pari età del Sud si è solo leggermente attenuato. C’è davvero poco di che essere soddisfatti. Perché il gap rimane alto: “per colmare le differenze – ha commentato con lucidità “Repubblica” – c’è ancora tanta strada da percorrere. Sono infatti 25 i punti che separano in Matematica i ragazzini delle regioni settentrionali da quelli delle regioni meridionali. Divario che schizza a 33 punti se si mettono a confronto i ragazzini friulani con i coetanei nati in Calabria. Che salgono a 40 se si confrontano i risultati dei quindicenni che studiano in Sardegna e quelli della provincia autonoma di Trento: 180 contro 220 punti”.

Il divario si fa sentire, ha osservato Tuttoscuola, soprattutto in “terza media e aumenta nel secondo anno delle scuole secondarie superiori, dove a essere penalizzati (e questa è una conferma in negativo) sono gli istituti tecnici e professionali del Sud e delle Isole”. Sempre la rivista specializzata ha rilevato che “emerge, ancora una volta, una divisione, se pur un po’ attenuata rispetto al passato, tra l’Italia del Centro-Nord e quella meridionale. Poiché i dati sono campionari e, tutto sommato, hanno avuto un contenuto cheating (distorsione per interventi esterni), si può ritenere che quanto emerso dalle 6.610 classi campione sia sostanzialmente affidabile e veritiero”. E i dati Invalsi, che servono non a giudicare i docenti, ma a trovare strumenti più adeguati per potenziarne l’azione, ci confermano che servono dei rimedi.

Anief torna a ripetere che ci troviamo di fronte ad un divario strutturale. Che per sua natura, quindi, non può risolversi spontaneamente. I numeri di questi giorni non fanno altro che certificare gli investimenti poco mirati che lo Stato ha riservato alle Regioni, penalizzando quelle meridionali. Basta ricordare che gli ultimi dati ufficiali ci dicono che in Sicilia la mancanza di risorse e di mense scolastiche ha fatto sì che il tempo pieno nella scuola primaria è stato attivato solo per il 3 per cento degli alunni; mentre il tempo pieno in Lombardia è presente nel 90 per cento delle scuole primarie.

Il risultato di questa discrepanza di offerta formativa è che al termine dei cinque anni di scuola primaria i bambini della Sicilia studieranno 430 giorni in meno, pari ad oltre 2 anni scolastici persi. Se a questi dati, che non hanno bisogno di commenti, aggiungiamo la mancanza di investimenti per combattere la dispersione e migliorare l’orientamento scolastico, risulta tutto più chiaro. Perché al Sud e nelle Isole alle “tare” del forte decremento demografico e del processo migratorio, si aggiunge quella dell’alto tasso di abbandono scolastico: alle scuole superiori vi sono province, come Caltanissetta e Palermo dove la dispersione supera il 40% di iscritti al primo anno.

E nella “top ten” di province con più alunni dispersi delle superiori figurano subito dopo Ragusa, Sassari, Cagliari e Oristano. Non a caso, la Regione italiana che nel quinquennio 2009/2014 ha in assoluto perso più studenti della scuola secondaria superiore è stata la Sardegna: 6.903 allievi, pari al 36,2%. Va poi ricordato che quasi sempre sono ragazzi che diventano Neet: il fenomeno degli oltre due milioni di giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano e non lavorano (uno su quattro di quella fascia di età), ha le sue radici principali nell’abbandono scolastico. Si tratta di constatazioni e numeri che fanno ancora più impressione, dal momento che vengono resi pubblici proprio mentre l’UE continua a chiedere ai Paesi membri di raggiungere nel 2020 un tasso medio nazionale di abbandono non superiore al 10%. La situazione è effettivamente da allarme rosso. Occorre agire e anche in fretta.

Le indicazioni che l’Anief dà al Governo italiano è quella di farlo, imponendo importanti correzioni formative, in quelle zone geografiche dove si riscontra il maggior tasso di abbandoni scolastici e di Neet: è lì che occorre l’assegnazione di un organico di docenti maggiorato. “Perché in quelle aree – spiega Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – non bastano gli stessi insegnanti previsti per la didattica standard. Appurato che in determinate zone del Paese sono concentrati studenti con maggiori difficoltà di apprendimento scolastico e tendenti a lasciare i banchi, è evidente che serva una maggiore presenza di educatori e formatori. Da assegnare – per le materie specialistiche, per le lingue e per i casi più difficili – anche con la modalità della compresenza”.

“Ma non solo – continua il presidente Anief – perché per rendere l’azione più efficace è indispensabile ridurre il numero di alunni per classe. Adottando, pure in questo caso, una deroga rispetto ai ‘tetti’ imposti a livello nazionale, che alle superiori arrivano a sfiorare i 30 iscritti per classe. Solo a queste condizioni, gli interventi compensativi, mirati al potenziamento delle capacità degli studenti, possono avere buone possibilità di riuscita”.

Per l’Anief è fondamentale, quindi, ricondurre le classi tutte al tempo pieno o al monte ore massimo giornaliero espandendo anche le attività progettuali e a supporto della didattica. Alle superiori serve poi un modello rinforzato di alternanza scuola-lavoro. Come quello di Bolzano o tedesco, giustamente citati dall’on. Simona Malpezzi, responsabile nazionale Scuola PD: in un’intervista a Orizzonte Scuola, l’on. Malpezzi parla di “‘concomitanza’ scuola-lavoro” perché “il punto forte è nel fatto che per il 75% del loro tempo trascorso in azienda i ragazzi sono affiancati da un formatore che segue tutti i momenti della loro attività. Si tratta di un cospicuo e lungimirante investimento dell’azienda, che ha tutto l’interesse a formare dei giovani che potrebbero poi un domani fare parte del proprio staff”.

In Italia la realtà è ben’altra: a proposito delle forme adottate sino ad oggi, compreso l’ultimo testo legislativo del 2011 che ha introdotto la possibilità di assolvere l’obbligo scolastico, dai 15 anni di età, nella modalità in apprendistato, Tuttoscuola ha ricordato che sono state tutte “poco incoraggianti: pochi i contratti in apprendistato e pochi i percorsi di alternanza scuola lavoro, che è poco presente persino nel piano dell’offerta formativa (POF) delle istituzioni scolastiche che pure la prevedono nel proprio curricolo”.

“Eppure – commenta ancora Pacifico – quella dell’apprendistato sarebbe la strada madre per vincere la disaffezione dai banchi di scuola e la piaga della disoccupazione. Dovrebbe però coinvolgere seriamente tutti i giovani a partire dai 15 anni, non solo sulla ‘carta’ come avviene oggi, attraverso degli stage veri e remunerati. Più di qualcuno ha obiettato che se mancano le aziende o sono in crisi, scenario tipico del Sud, ma non solo, per gli studenti è ancora difficile trovare spazio anche come stagisti. Il vero problema è che sono le stesse aree dove è anche più modesta la propensione all’investimento. Anche in questo caso lo Stato deve intervenire con decisione: puntando forte – conclude il presidente Anief – sul patrimonio culturale e turistico, unico al mondo, che detengono proprio quelle aree italiane dove oggi abbondano gli studenti poco competenti, inclini ad abbandonare la scuola e probabili futuri disoccupati”.