Nelle scuole italiani gli insegnanti lavorano male e vengono pagati poco. L’impietosa conclusione, da anni denunciata dall’Anief, è giunta in queste ore attraverso il primo rapporto internazionale sull’Efficienza della spesa per l’educazione, condotto da Peter Dolton, esperto mondiale di economia dell’educazione della London School of Economics: tra i motivi della inefficienza della scuola italiana, e del consueto fondo della graduatoria dell’Ue, si legge nel rapporto ci sarebbe l’elevato numero di alunni per classe e il trattamento economico decisamente sfavorevole dei docenti.
Dal rapporto emerge che se si rapportano i risultati ottenuti dagli studenti nei test Pisa con la spesa per l’istruzione, il nostro Paese si colloca appena al 23esimo posto della classifica di 30 paesi Ocse. Tuttavia l’Italia potrebbe ottenere risultati Pisa ai livelli ragguardevoli della Finlandia, se riducesse il rapporto insegnante-allievo da 10,8 a 8,2 (-24,4%). Ma anche se si aumentasse la busta paga dei docenti dalla media attuale di 31.460 dollari a 34.760 dollari (+10,5%).
La realtà scolastica italiana, che caratterizzerà anche questo nuovo anno scolastico ormai alle porte, è invece quella di classi-pollaio in crescita, con punte di 42-45 iscritti per aula; di dirigenti scolastici in rivolta perché i loro alunni devono farsi “spazio in una selva di teste, zaini e banchetti”; di 87mila alunni in più iscritti nelle scuole pubbliche, rispetto al 2012, ma con una consistenza di organici del personale, anche non docente, praticamente immutata.
Per non parlare degli stipendi del personale, docenti e Ata, che oltre ad essere tra i più bassi dell’area Ocde, nell’ultimo periodo sono stati solo lievemente incrementati rispetto all’inflazione, che infatti corre in modo decisamente più veloce (tra i 4 e i 5 punti percentuali): prima di avviare qualsiasi provvedimento sul merito, come intende fare il Governo attraverso l’attuazione delle linee guida presentate in questi giorni, bisognerebbe quindi livellare almeno gli stipendi al costo della vita.
Anief ha reso pubblica da tempo la soluzione al doppio problema. Proponendo direttamente al responsabile in Italia del Comitato interministeriale sulla spending review, Carlo Cottarelli, gli interventi da attuare. Cominciano ad agire proprio sulla riduzione del rapporto tra il numero degli studenti e degli insegnanti, con una media oggi ferma a 12, di due unità inferiore alla media Ocse (14). Una media che non tiene conto della peculiarità tutta italiana: l’utilizzo di 110mila insegnanti di sostegno, a fronte di oltre 220mila alunni con handicap (2,5% del totale), e di 30mila insegnanti di religione.
“Ecco perché oggi i rapporti internazionali ci dicono che ci sono troppi alunni per classe – commenta Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir -: dal computo totale dei docenti italiani, gli ultimi Governi hanno incluso erroneamente nella stima anche questi docenti, di sostegno e religione: solo scorporandoli, come la logica vorrebbe, si ottengono i dati imparziali emessi con il rapporto internazionale sull’Efficienza della spesa per l’educazione pubblicato in queste ore a Londra”.
Poi c’è il capitolo stipendi. Anche in questo caso legato al fatto che si è cercato di fare “cassa” sulla pelle del personale di ruolo, i cui scatti sono stati bloccati per il quinquennio 2010-2014, salvo derogare il primo anno in cambio del taglio di 50.000 posti e il secondo anno in cambio della riduzione di 570 milioni di euro del FIS.
“Con il risultato – continua Pacifico – dell’ennesimo primato negativo: a fronte di quasi un orario di insegnamento annuale pressappoco uguale (Italia 770 ore nella primaria – OCSE 790; 630/709 nella secondaria I, 630/664 nella secondaria II), a fine carriera i docenti italiani percepiscono in busta paga da 6mila a 8mila euro in meno rispetto ai colleghi dell’OCDE. In pratica, fatto 100 lo stipendio medio degli insegnanti dei 37 Paesi economicamente più progrediti, le buste paga della scuola in Italia sono cresciute ogni anno a partire dal 2005 solo del 4-5%; mentre nella media Ocde l’incremento è stato del 15-22%”.