di Lisa Bachis
Di recente, ho visto il video di Michela Rossin e ho letto con attenzione il suo intervento sulla violenza di genere, pubblicato da IMG Press. Ho trovato che l’azione condotta da questa donna – una donna come noi che lavora, ha dei figli, coltiva delle passioni e lotta per distinguersi in una società in cui ancora, purtroppo, imperano valori maschilisti – sia incredibile e vada pubblicizzata, sostenuta e seguita costantemente. Michela Rossin ha deciso “di dire basta” alla violenza. Abusi prima di tutto, psicologici e subito dopo fisici che tagliano l’anima, depredano il cervello di ogni sicurezza e generano uno squilibrio emotivo tale, da indurre la donna a “sentirsi una nullità”, una “che non vale niente”, una “che vorrebbe solo sparire e farsi piccola, piccola”. La violenza di genere, è annidata tra le mura domestiche, sul posto di lavoro. Sono quelli che dovrebbero accompagnarci lungo il cammino della nostra esistenza a essere in nostri aguzzini peggiori. Padri o familiari violenti, mariti o compagni, amici o sconosciuti che ci vedono per strada. Uomini che giustificano le loro mancanze e inadeguatezze, usando la violenza e l’abuso psichico e sessuale. Chi ferisce una donna verbalmente, psicologicamente e fisicamente, nasconde dentro di sé, una perversa assenza di umanità e rispetto perché non la considera nella sua dignità di persona, ma la relega a banale oggetto di moleste attenzioni e soprusi. Michela Rossin che ha vissuto tutto questo ma non ha rinunciato “al suo esser Donna-Persona”, si è ribellata e ha deciso di promuovere un’iniziativa per accogliere tutte le donne che hanno il desiderio ma anche il timore di ribellarsi. Tutte quelle donne che vogliono denunciare i carnefici ma si sentono sole e spesso, non sostenute proprio dalle loro famiglie. Una rete solidale, come ce ne sono tante in Italia ma che non sono mai abbastanza. Lei ha seguito corsi di autodifesa, si è ripresa la sua vita in mano e ha allontanato il mostro che diceva di amarla di “un amore marcio e malato”. Ma è andata oltre, ha preparato un video che illustra bene cos’è la violenza di genere, e ha promosso un’iniziativa che avrà luogo domenica 28 settembre, a Rovigo, con un work shop “sulla prevenzione e sulla difesa personale femminile”.
Parlare di abusi sulle donne, di eliminazione della libertà; costringerle per idee e sottocultura ad atti servili, considerarle oggetti, è un fenomeno molto diffuso che coinvolge il mondo occidentale ma anche altre parti di esso, là dove l’emancipazione femminile è considerata fuori dalla norma, quasi un’eresia. In numerose parti del Medioriente, le donne sono rapite, tratte prigioniere e vendute come schiave. Penso agli attuali fenomeni dei jihadisti dell’Isis, lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante; ma penso alle cristiane fatte schiave dai miliziani di Boko Haram in Nigeria, o il sopruso dell’infibulazione che riguarda molti dei paesi africani. Ed in questi giorni, oltre al messaggio di Michela Rossin, mi ha colpito un altro appello, un altro video.
Un filmato che denuncia le molestie sessuali in Egitto. Abusi che contano una percentuale di vittime pari al 99,3%. Una cifra spaventosa, considerato che proprio l’Egitto dovrebbe essere maggiormente sensibile all’apertura verso la pari dignità di donne e uomini. Ma dove al contrario, l’emancipazione femminile, è stata distorta e ridotta a vedere le donne “come prede facili, che ci stanno”.
L’autrice del video, è la documentarista belga Tinne Van Loon, che per mostrare come si sentono le donne che vivono un terrore quotidiano in Egitto, ha chiesto ad un’amica egiziana di attraversare il ponte che collega Piazza Tahir a Zamalek con una telecamera nascosta. Il video gira in rete, e vi assicuro che la percezione che si ha, è pesante. Una donna che cammina da sola, in pieno giorno, nella strada affollata è sottoposta agli sguardi, di tutti gli uomini presenti, ma non sono solo sguardi di apprezzamento quelli che abbiamo visto. Sono sguardi che vogliono prendere possesso della ragazza protagonista, che la guardano come “qualcosa, che in qualunque momento si può avere”, anche con la forza. La documentarista ha deciso di girare e diffondere il video sul sito “Egyptian Streets” con “l’obiettivo di catturare il persistente senso di ansia che le ragazze provano nel camminare da sole per strada”, perché per le egiziane “la prima forma di molestia sessuale è rappresentata dagli sguardi dei ragazzi”. Una ricerca del 2013, condotta dall’Onu, ha messo in evidenza che le molestie non sono solo di ordine visivo ma risulta che il 96, 5% delle egiziane “sono state toccate nelle parti intime mentre camminavano per strada” e che la percentuale di quelle che hanno subito “una qualche forma di molestia sessuale” è, quasi vicina al 100%.
Il Parlamento egiziano sta tentando di arginare un fenomeno pericolosissimo e di recente, ha emanato una nuova legge che prevede per chi commette violenza su una donna dai 5 anni di carcere o una multa da 50 mila sterline egiziane (che corrispondono a 5.150 euro). Sembra che i primi arresti effettuati abbiano già sortito un certo effetto, mentre prima tutto questo accadeva con la totale indifferenza da parte delle autorità e delle stesse forze di polizia, come se questo fosse un costume del paese.
La lotta alla violenza di genere, era stata già avviata da un gruppo di giovani donne, che avevano creato un sito per denunciare gli abusi con l’uso delle testimoniaze delle vittime, non solo al Cairo ma nelle altre zone dell’Egitto. Ne è venuta fuori “una vera mappa” dove sono segnati i luoghi considerati “più periclosi per le donne”.
Vi è stata anche una reazione positiva a questo tipo di denuncia, tanto che anche molti uomini hanno deciso di dire “no” alla violenza di genere, come Essam Bashary, un ragazzo che è diventato famoso per aver legato un uomo a un albero, perché non la smetteva di importunare una ragazza.
Tuttavia, sono numerosi gli egiziani convinti che l’iter legislativo e giudiziario, debba essere sostenuto da un cambiamento culturale. Questo è divenuto uno degli argomenti che animano il dibattito interno al paese ed è un problema che il governo egiziano è chiamato ad affrontare. Qualche mese fa, alcune donne hanno scelto di vestirsi tutte di nero per manifestare contro le molestie sessuali e gridare la loro voglia di “scendere in strada senza paura”.
E a me piace molto, pensare a questo ponte simbolico tra l’Italia e l’Egitto, tra Rovigo dove vive Michela Rossin e il Cairo dove vivono quelle giovani donne. E mi piace immaginarci tutte insieme, abbracciate, mentre camminiamo insieme per strada e non abbiamo più paura.