Gv 3,13-17
Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.
di Ettore Sentimentale
Il brano di vangelo riportato sopra, annuncia subito che per questa settimana abbiamo lasciato il normale ritmo domenicale per celebrare una festa strana e sconcertante: l’Esaltazione della Santa Croce.
Che senso può avere parlare di croce in mezzo a una società che sembra esaltare il piacere e il benessere? Non si rischia forse di lodare il dolore, glorificare la sofferenza e l’umiliazione, fomentare un’ascesi ossessiva, andare contro la gioia della vita? Malgrado ciò, quando un credente osserva il Crocifisso e penetra con lo sguardo della fede il mistero che racchiude, scopre prima di tutto l’amore immenso, la tenerezza insondabile di Dio che ha voluto condividere la nostra vita e la nostra morte fino all’estremo. Lo dice il vangelo di Giovanni in modo ammirabile: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna”.
La croce ci rivela l’amore incredibile di Dio. Sì, niente e nessuno potranno mai separarci da lui: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?” (Rm 8,35).
Se Dio soffre in croce, non è perché ami la sofferenza, ma perché non la vuole per nessuno di noi. Se muore in croce non è perché sottovaluti la felicità, ma perché la cerca per tutti, soprattutto per i più dimenticati e umiliati. Se Dio agonizza sulla croce, non è perché disprezzi la vita, ma perché la desidera tanto da volere che tutti la stimino pienamente.
Se da parte di Dio le cose stanno così, si comprende bene perché la croce di Cristo la contemplino meglio degli altri i crocifissi, quelli che soffrono impotenti l’umiliazione, il disprezzo e l’ingiustizia, quelli che vivono bisognosi di amore, di gioia e vita. Questi celebreranno l’Esaltazione della Croce non come una festa di dolore e morte, ma come un mistero di amore e vita.
A chi potremmo aggrapparci se Dio fosse semplicemente un essere potente e soddisfatto, molto simile ai prepotenti della terra o addirittura più forte di loro?
Chi potrebbe consolarci se non sapessimo che Dio sta soffrendo con le vittime e nelle vittime? Senza cadere però nel vittimismo!
Come non esaltare la Croce di Gesù se in essa c’è Dio che sta soffrendo con noi e per noi? Questa certezza non può certo scatenare il desiderio di nuove crociate.