Sono passati trent’anni dalla prima edizione dell’ormai “storica” rassegna promossa al Teatro Manzoni di Milano da Mediaset e da Publitalia ’80 in collaborazione con Peugeot Italia e 3 Italia e la fisionomia della manifestazione sembra essere mutata radicalmente dai suoi inizi, dedicati interamente alla musica accademica. Questo è vero solo in parte. Lo scopo di “Aperitivo in Concerto” è stato sempre quello di esplorare l’inconsueto, il poco conosciuto, l’ignorato, l’inesplorato, che si trattasse del repertorio “classico” o meno, sia attraverso interpreti di fama che di giovani spinti dalla curiosità o dal desiderio di allargare i confini del repertorio. Tale scopo non è mutato, né sono mutati il “valore” e il significato di ogni programmazione: “Aperitivo in Concerto” ha scelto, attraverso la musica, di presentare possibili risposte alle molte domande della nostra società in velocissima trasformazione. Per trent’anni la rassegna ha voluto essere una “finestra sul mondo”, cercando di documentare l’evoluzione della cultura musicale nell’era della cosiddetta “globalizzazione”, il dialogo fra tradizioni diverse, l’affermarsi e il diffondersi del “meticciato” (la cosiddetta “creolization”, la nascita di culture “creole”, che fanno uso di materiali presi da culture diverse per costruirne ancora di nuove), la decentralizzazione della cultura europea rispetto a un contesto in cui soprattutto il jazz, nel Novecento, ha fatto da modello e catalizzatore per un fittissimo intreccio fra linguaggi diversi e provenienti da ambiti lontanissimi fra di loro. Alterità e cosmopolitismo sono stati i punti di riferimento di tre decenni di programmazione (inizialmente e brillantemente affidata alla direzione artistica di Hans Fazzari cui, dopo dieci anni, è subentrato Gianni Morelenbaum Gualberto) in cui Bach si è affiancato a Silvestre Revueltas, Ernesto Nazareth o Peter Sculthorpe, Terence Blanchard a Steve Martland, Philip Glass a Cecil Taylor e Max Roach, Henry Purcell a John Zorn. Dalle performing arts alla danza contemporanea, dalla musica di frontiera e di ricerca agli interpreti-icone della nostra contemporaneità, sul palcoscenico del Teatro Manzoni sono stati rappresentati i nostri tempi, con i loro interrogativi, le loro certezze, la loro inquieta mutevolezza, il loro futuro ma anche i loro ricordi. Dal 1984 ad oggi è facile dire che il mondo è molto cambiato: “Aperitivo in Concerto” ha cercato di testimoniare e documentare nel modo più completo questi cambiamenti attraverso la creatività senza confini o artificiose distinzioni di genere.
In trent’anni, dunque, la manifestazione ha cercato, per l’appunto, di maturare e di non invecchiare: senza pretenziosi giovanilismi, senza inseguire trend o mode, senza captatio benevolentiae.
La stagione 2014-2015 è importante non solo, però, per il genetliaco che segna. Ancora una volta, la rassegna cambia, nel suo continuo sforzo di testimoniare l’evoluzione dei nostri tempi. Se è vero che la programmazione di questa edizione ha colto l’occasione celebrativa per ricordare la molteplicità d’interessi che ha caratterizzato la storia di “Aperitivo in Concerto”, è altresì evidente l’ulteriore allargamento del ventaglio di esperienze.
Nella nuova edizione riscontriamo ancora una volta l’attenzione che la manifestazione ha dedicato alle culture “altre”, alle tradizioni extra-europee che nel Novecento si sono affermate come le impareggiabili protagoniste di nuovi orizzonti linguistici i cui molteplici filoni ancora non si sono esauriti dopo un secolo e che, anzi, sempre di più alimentano nuove esperienze espressive anche ben al di fuori dei loro contesti. E’ il caso del jazz, causa ed effetto di un’autentica rivoluzione che ha lasciato un segno indelebile nella crescita culturale e politica del Novecento, portando alla ribalta tradizioni che avevano dovuto attraversare il dramma della schiavitù, dell’emarginazione, della segregazione.
Ogni stagione, da varî anni, “Aperitivo in Concerto” rende omaggio al jazz e, più in generale, alla Diaspora africano-americana, che ha contribuito in modo determinante a forgiare i lineamenti culturali di tutte le Americhe, estendendo la sua influenza in tutto il mondo e su tutta l’esperienza musicale novecentesca, inclusa anche quella accademica. Quest’anno il Teatro Manzoni ospiterà, in una speciale prima italiana, il nuovo quartetto di uno fra i più conosciuti artisti africano-americani ad affermarsi a partire già dagli anni Sessanta: il sassofonista e flautista Charles Lloyd (9 novembre), musicista ormai leggendario e che sin dai suoi esordi ha fatto uso dell’improvvisazione jazzistica per articolare un fitto dialogo con altre culture. Non casualmente, nella presentazione italiana della Wild Man Dance Suite, egli sarà accompagnato anche dal liutista e lirista greco Socratis Sinopoulos.
All’esperienza africano-americana appartiene anche lo straordinario duo pianistico di Robert Glasper e Jason Moran (16 novembre), artisti che oggi sono alla ribalta nel delineare il nuovo cammino della musica improvvisata contemporanea. Moran rilegge con approccio colto quanto innovativo la tradizione improvvisativa delineatasi a partire da compositori-improvvisatori come James P. Johnson e Fats Waller, Glasper affonda le sue radici nel blues e nel soul per giungere all’elaborazione di un linguaggio che si riconnette all’hip hop: il duo, insomma, riflette l’intero spettro dell’esperienza musicale africano-americana e lo ripropone con un infallibile e funambolico istinto creativo.
Ran Blake (1 marzo), pianista-poeta ineffabile, e il geniale sassofonista e compositore Tim Berne (8 marzo), rappresentano due diversi modi di guardare alla musica improvvisata. Blake (accompagnato dal trombonista Aaron J. Hartley e dalla violinista Eden MacAdam-Somer, due suoi ex-allievi al New England Conservatory, dove il pianista ha diretto per anni il Contemporary Improvisation Department) destruttura l’American Songbook con visionarie riletture degli standard che arricchisce di una miriade di interessi e collegamenti, dall’influenza di George Russell, Thelonious Monk e Mal Waldron fino agli echi delle colonne sonore di film noir; Berne è artista altrettanto sofisticato ed è riuscito a dare un contributo fortemente originale all’improvvisazione contemporanea, creando un universo di suoni strutturato con rigore compositivo ma, altresì, denso di forti connotazioni ritmiche. A Milano Berne si presenta con il suo eccellente gruppo, Snakeoil, e per una appassionante quanto inedita collaborazione con il noto e benemerito Ensemble Sentieri selvaggi diretto da Carlo Boccadoro, compositore e interprete capace di muoversi con grande intelligenza fra linguaggi diversi e che per questa esibizione milanese ha composto un brano appositamente per Berne, Snakeoil e Sentieri selvaggi, oltre ad arrangiare alcune composizioni dello stesso Berne.
A proposito di “presente”: nella nuova stagione “Aperitivo in Concerto” ospita alcuni artisti europei che partendo anche dall’improvvisazione di origine jazzistica sono approdati a nuovi lidi espressivi grazie all’impegno e alla disciplina di una ricerca creativa ben lontana da ogni routine: il finlandese Kimmo Pohjonen (8 febbraio) non è solo un fenomenale e rivoluzionario (aggettivi in questo caso obbligatori) fisarmonicista (è stato definito il “Jimi Hendrix della fisarmonica”), che dal suo strumento sa ricavare suoni inusitati, effetti e melodie particolari posti al servizio di un lirismo violentemente commovente. E’ anche un compositore innovativo e un improvvisatore capace di inchiodare un’intera platea alla sua musica vibrante, quasi selvaggia, che coniuga improvvisazione e arcane melodie nordiche e che parla di uno specialissimo, affascinante rapporto fra musica e Natura. A Milano Pohjonen, anch’egli abituale collaboratore del Kronos Quartet, si presenta affiancato dall’eccellente batterista francese Eric Echampard, strumentista di grande virtuosismo e di non minore versatilità, capace di creare un vero e proprio tappeto di timbri e colori sul quale si distende il canto ora selvaggiamente ritmico ora melodicamente incantatorio della fisarmonica di Pohjonen. Altrettanto interessante e stimolante è il Crimson Project che il Delta Saxophone Quartet (una fra le migliori formazioni di sassofoni al mondo, usa alla musica accademica come a quella improvvisata, con un virtuosismo letteralmente stratosferico che è stato messo al servizio di numerosi progetti musicali di rilievo, dalle composizioni di Steve Martland ad una strepitosa rilettura delle musiche dei Soft Machine) presenta il 30 novembre con la partecipazione del notevolissimo pianista gallese Gwilym Simcock: una reinterpretazione intensa e radicalmente teatrale di alcune composizioni scritte dal chitarrista Robert Fripp per il notissimo gruppo rock King Crimson, fra influenze jazzistiche, echi di folklore inglese e di Miles Davis, psichedelia, sonorità oniriche, improvvise accelerazioni ritmiche, caleidoscopici colori e improvvisazione pura. Un progetto che ha nell’intelligenza e nella qualità strumentale eccelsa e senza pari dei musicisti che vi partecipano un motivo ulteriore per appassionare.
Da molti anni “Aperitivo in Concerto” ospita concerti e progetti dedicati alla tragica ma straordinaria epopea umana e culturale della Diaspora ebraica, che ha contribuito in modo determinante all’evoluzione dell’arte e della cultura europea e che è stata non meno importante e creativa negli Stati Uniti e in mote altre parti del mondo. Questo interesse si è anche coniugato con la costante presenza, sia fisica che spirituale, al Teatro Manzoni, di un autore e interprete geniale come John Zorn, le cui composizioni hanno spesso arricchito i programmi della rassegna. Nella stagione 2014-2015 Zorn, per quanto non personalmente, è nuovamente presente, con una serie di temi tratti dal suo Book of Angels e presentati da una entusiasmante formazione strumentale, Zion80 (15 febbraio), guidata dal chitarrista Jon Madof (anch’egli abituale collaboratore di Zorn, oltre a essere leader di gruppi fra i più interessanti della cosiddetta Radical Jewish Music di New York), che comprende alcuni fra i migliori solisti della scena Downtown newyorkese e che fonde la estatica tradizione melodica ebraica con il trascinante afrobeat creato dal genio musicale africano di Fela Kuti: uno spettacolo letteralmente esplosivo per rimi, temi, colori, un’unione fra le due grandi Diaspore, una fusione “afro-semita” di fortissimo impatto musicale ed emotivo.
Nell’edizione 2014-2015 una particolare attenzione viene data ad un altro meraviglioso capitolo della Diaspora africana: la tradizione musicale brasiliana, infatti, sorge da un altro melting pot, in cui la componente africana ha un ruolo primario e preponderante all’interno di una tradizione ricchissima che saputo coniugare ispirazione popolare, complessità ritmica, raffinatezza compositiva. E proprio con il Brasile si apre (19 ottobre) la nuova stagione di “Aperitivo in Concerto”: il celebre violoncellista Jaques Morelenbaum, strumentista di vaglia e artista squisito, un beniamino del pubblico italiano, presenta assieme alla moglie, l’altrettanto nota cantante Paula Morelenbaum, e agli eccellenti componenti del Cello Samba Trio (il chitarrista Lula Galvão e il batterista Rafael Barata), un omaggio a un genio della composizione come Antonio Carlos Jobim, il padre della bossa nova e autore di pagine come Garota de Ipanema, Desafinado, Insensatez, a vent’anni dalla sua scomparsa.
Il 23 novembre si presenta per la prima volta in Italia un gruppo brasiliano che non è fuori luogo definire eccezionale: Barbatuques è un complesso di vocalist e percussionisti che con l’uso completamente innovativo e creativo della cosiddetta body percussion (una pratica musicale antichissima, di tipo ritmico che fa uso del corpo del musicista come di uno strumento, e che in Brasile è giunta con gli schiavi africani, che hanno tramandato la tradizione di suonare con il proprio corpo, gestire il ritmo, muoversi e creare musicalità solamente utilizzando mani, piedi, braccia, busto, testa, voce): ogni loro concerto è un vero spettacolo di immensa teatralità e di disinibito coinvolgimento. Amatissimi da Bobby McFerrin, che li ha spesso voluti con sé in tournée, i musicisti di Barbatuques (reduci dall’incisione delle musiche per il film Rio 2 – Missione Amazzonia) illustrano il corpo come strumento musicale con grande inventiva e grande poesia, esplorando così un altro affascinante aspetto della cultura africana-americana e che ha nell’improvvisazione di derivazione jazzistica una naturale estensione.
Al Brasile è anche dedicato il tradizionale concerto pre-natalizio di “Aperitivo in Concerto”, con l’esordio a Milano di un grandissimo interprete, César Camargo Mariano, eccezionale pianista, abilissimo jazzista (è stato sicuramente il primo strumentista brasiliano a mostrarsi egualmente a suo agio con l’interpretazione tradizionale così come con l’improvvisazione d’estrazione jazzistica, contribuendo a creare il cosiddetto samba-jazz e offrendone un ritratto particolarmente valido, mai oleografico, sempre sofisticato e ricchissimo di colori, accenti, particolari inflessioni, raccogliendo e completando la lezione di artisti come Moacyr Peixoto, Dick Farney e, soprattutto, Luiz Eça e Amilton Godoy) e forse il più grande arrangiatore della MPB (Música Popular Brasileira), protagonista di collaborazioni storiche che vanno da Elis Regina a Al Jarreau, da Chico Buarque a Antonio Carlos Jobim. L’esibizione di Camargo Mariano contribuirà a rievocare con maggiore esattezza e profondità il percorso complesso che la fusione fra jazz e musica brasiliana ha intrapreso fin dagli anni Cinquanta e Sessanta, quando artisti americani come Stan Getz, Herbie Mann, Charlie Byrd, Paul Winter, Bud Shank diffusero negli Stati Uniti e nel mondo la loro interpretazione della bossa nova e del samba
Il primo concerto del 2015 ha come protagonista una leggendaria cantante brasiliana, Leny Andrade, definita da Tony Bennett “la Ella Fitzgerald del Brasile”, capace di fondere l’improvvisazione jazzistica con la tradizione brasiliana per dare vita a quel samba-jazz di cui da decenni è l’incontestabile interprete vocale per antonomasia. La Andrade è, infatti, artista di fascino eccezionale, capace di esprimere con rigore un’intera tradizione ormai secolare, quanto di renderla modernissima con un approccio virtuoso e raffinato, sottolineando il costante connubio fra tradizione accademica e esuberante cultura popolare: questa chiave di lettura, che risale agli anni Cinquanta, è stata articolata dalla Andrade sin dai suoi esordi nei club di jazz di Rio de Janeiro, veri e propri laboratori linguistici da cui doveva scaturire anche il fenomeno della bossa nova, cui la cantante ha dato un notevolissimo contributo.
Il Brasile è protagonista, infine, del concerto di chiusura (15 marzo), affidato ad una fra le più grandi strumentiste sulla scena internazionale, la violinista Viktoria Mullova, inarrivabile interprete dei capisaldi della musica accademica e artista curiosa, instancabilmente alla ricerca di nuovo repertorio da esplorare: con “Stradivarius in Rio” la Mullova mette il suo virtuosismo e la sua eccezionale intelligenza di interprete al servizio di alcune fra le più preziose testimonianze di quasi un secolo di compositori brasiliani popolari, ritratto incantevole di una tradizione che saputo abbattere più di qualsiasi altra il muro fra cultura accademica e cultura popolare di valore, realizzando un incessante dialogo fra culture diverse, lo stesso obiettivo che per trent’anni si è posto la programmazione di “Aperitivo in Concerto”. Da Pixinguinha a Antonio Carlos Jobim, da Zéquinha de Abreu a Marisa Monte, Viktoria Mullova, con i suoi eccellenti accompagnatori, chiude la trentesima edizione della rassegna, ripercorrendo i capitoli di una vicenda musicale e culturale che, a ben vedere, per quanto già ricchissima e inimitabile, ha ancora tutto il futuro davanti a sé.